Corriere della Sera, 24 luglio 2015
Libia, è arrivata la richiesta di riscatto per i quattro italiani rapiti. Il governo fa sapere che non intende fare nessuno scambio con gli scafisti detenuti nelle nostre carceri. Una richiesta di questo genere non è stata comunque esplicitata. L’Italia ha aperto il canale per arrivare a un accordo, a gestirlo sono gli 007 che possono contare anche su alcuni appoggi locali
La richiesta di riscatto è arrivata, adesso il negoziato entra nel vivo. La trattativa rischia di essere lunga e complicata, ma è confermata la natura criminale della banda che domenica scorsa ha sequestrato Fausto Piano, Gino Pollicardo, Filippo Calcagno e Salvatore Failla, i quattro dipendenti della Bonatti. E questo rassicura l’intelligence sul buon esito della vicenda. Però bisogna fare in fretta, come ribadisce il sottosegretario con delega ai Servizi Marco Minniti di fronte al Comitato Parlamentare di controllo che lo ha convocato per fare il punto sulla sicurezza, ma naturalmente ha dedicato gran parte dell’audizione al rapimento. Perché il vero pericolo è il passaggio di mano, la possibilità di un’interferenza di un gruppo di matrice terroristica.
«Nessuno scambio»
«È una questione di soldi», chiarisce Minniti specificando che gli ostaggi italiani sono nelle mani dei trafficanti ed escludendo, come del resto aveva già fatto il ministro dell’Interno Angelino Alfano, che il governo possa anche solo ipotizzare una trattativa per uno scambio con gli scafisti detenuti nelle nostre carceri. Una richiesta di questo genere non è stata comunque esplicitata. L’Italia ha aperto il canale per arrivare a un accordo, a gestirlo sono gli 007 che possono contare però anche su alcuni appoggi locali perché, conferma il sottosegretario, «in Libia continuiamo ad avere una buona rete di contatti». Sono gli stessi che ci hanno consentito nei mesi scorsi di riportare a casa gli altri sequestrati, anche se ogni vicenda ha un’evoluzione diversa e il fatto che questa volta si debbano gestire quattro persone rende tutto più difficile e soprattutto più oneroso. In ballo ci sono milioni di euro e non è escluso che la contropartita possa prevedere anche altre concessioni, come spesso avviene in questi casi, alle tribù locali.
I due governi
Rimane comunque il problema di muoversi in un Paese senza controllo, dove sono ben quattro i governi che si proclamano autorità nazionale anche se soltanto uno, quello di Tobruk, è stato riconosciuto dalla comunità internazionale. E infatti vengono lette come una sorta di avvertimento all’Italia le dichiarazioni rilasciate al programma di La7 «Piazzapulita» dal premier di Tripoli Khalifa al Ghweil quando parlando dei sequestratori li definisce «criminali che vogliono turbare le relazioni che vogliamo instaurare con l’Italia». Dopo aver assicurato di «seguire con molta attenzione questa spiacevole faccenda», l’alto ufficiale libico aggiunge: «Abbiamo attivato i servizi segreti perché consideriamo questi criminali nemici della tranquillità della Libia. C’è però una riluttanza del governo italiano a collaborare con noi e la sua debolezza nel combattere il terrorismo e i criminali. Questo ha fatto sì che i criminali trovassero un ambiente favorevole per espandersi. Non abbiamo mezzi e l’Italia non ha fatto niente per aiutarci a combattere il terrorismo in Libia. Pertanto rinnovo l’invito a Roma a collaborare col nostro governo e non con l’altro».
Le interferenze
È proprio questo il timore che si fa sempre più concreto con il trascorrere delle ore: il rischio di interferenze, la paura che la guerra tra i vari esecutivi che si contendono il potere possa avere un’influenza negativa sulla trattativa sia dal punto di vista della contropartita, sia per quanto riguarda l’interesse dei gruppi fondamentalisti ad ottenere un ruolo e dunque a dare una connotazione politica al rapimento. Del resto un intoppo c’era già stato nel giugno scorso quando fu rilasciato il medico catanese Ignazio Scaravilli dopo quasi sei mesi di prigionia. L’ostaggio era stato infatti liberato dai criminali che lo avevano catturato a gennaio, ma consegnato all’autorità di Tripoli che lo avrebbe trattenuto una settimana in attesa che l’Italia – questa era la condizione – riconoscesse a loro la stessa valenza politica di Tobruk. Un’istanza che non ha avuto seguito, ma in alcuni momenti ha fatto comunque temere il peggio anche perché si tratta di personaggi vicini agli islamisti. Anche per questo il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha voluto ribadire la necessità di «non inseguire il carosello di rivendicazioni, ipotesi e retroscena che vengono fatti in modo più o meno strumentale».