Il Sole 24 Ore, 23 luglio 2015
’Ndrangheta, sequestro da due miliardi. Operazione della Dda di Reggio Calabria sulle scommesse online: 41 arresti e sigilli a 56 società. Una rete estera per la raccolta delle giocate sul web in contanti per eludere le norme fiscali e i controlli
La ’ndrangheta passava da Malta per governare gioco e scommesse online abusive in tutta Italia, riciclando fortune illecite ma in passato, come in una pallina che rimbalza impazzita sul flipper della geografia internazionale, aveva fatto ricorso anche alle licenze delle Antille olandesi e di Panama. Isole e istmi – che fossero a due passi dalle coste siciliane o che galleggiassero nei Caraibi – evidentemente permettevano triangolazioni elusive che gonfiavano i portafogli delle cosche (Tegano e non solo) e lasciavano a secco l’Erario italiano.
È lo scenario tratteggiato dall’operazione Gambling della Dda di Reggio Calabria (condotta dal capo della Procura Federico Cafiero De Raho e dai sostituti Sara Amerio, Giuseppe Lombardo, Luca Miceli e Stefano Musolino) con la quale ieri sono state sequestrate 11 società estere, 45 società in Italia con oltre 1.500 punti commerciali per la raccolta di giocate, 82 siti nazionali e internazionali di “gambling online” e molti immobili. Valore stimato: circa due miliardi.
L’attività – delegata ai Comandi provinciali dei Carabinieri e della Guardia di finanza, della Squadra mobile della Polizia di Stato e della Dia di Reggio Calabria (dalla quale sono partite inizialmente le attività) con lo Scico e il Nucleo speciale frodi tecnologiche di Roma della Gdf – ha portato anche all’esecuzione di 28 ordinanze di custodia cautelare in carcere, 13 misure cautelari degli arresti domiciliari, 5 divieti di dimora, 5 obblighi di presentazione alla polizia giudiziaria.
La presunta associazione ‘ndranghetista – attraverso lo schermo di imprese operanti nel mercato dei giochi e delle scommesse a distanza e dislocando in Stati esteri i server per la raccolta informatica delle giocate e la loro gestione – ha aggirato la normativa, realizzando consistenti profitti, poi reinvestiti per l’acquisizione di ulteriori imprese e licenze estere e nazionali.
L’attività investigativa ha consentito di accertare che la raccolta da banco dei giochi e delle scommesse avveniva attraverso una ragnatela di agenzie che sono state dissimulate come semplici Centri di trasmissione dei dati (Ctd) collegati a bookmaker esteri.
La raccolta delle giocate – attraverso più siti internet di scommesse – in realtà non avveniva attraverso una transazione online, in quanto le poste dei giocatori venivano acquisite in contanti o tramite assegni direttamente consegnati al gestore del punto commerciale.
Il contratto, perciò, si è perfezionato interamente sul territorio italiano ed è stato direttamente gestito dal punto commerciale affiliato alla presunta associazione criminale, che poi ha trasferito le somme – compensando le perdite con le vincite e al netto della propria provvigione – alla direzione dell’associazione, collocata all’estero.
La diffusione dei brand con cui ha operato l’organizzazione è stata garantita da una rete commerciale strutturata gerarchicamente, rappresentata anche da imprese colluse con la camorra e la mafia, che ha distribuito provvigioni a cascata ai partecipanti (secondo un criterio economico connesso al ruolo ricoperto).
Il procuratore capo di Reggio Calabria, Federico Cafiero De Raho, ha spiegato la genesi dell’indagine, avviata dalla denuncia di un titolare di un punto di commercializzazione, costretto ad accettare una modalità di scommesse del tutto vietata dalla legge: accettare anche il pagamento diretto da parte dei giocatori. Era un sistema, ha spiegato Cafiero De Raho, che serviva all’organizzazione per bypassare le norme e i controlli della legislazione nazionale, e quindi consentiva di incamerare in contanti le giocate dei clienti, senza corrispondere al fisco le relative tasse. In questo modo non solo veniva eluso l’Erario, ma era stato creato anche un gigantesco meccanismo di riciclaggio del denaro illecitamente accumulato.
Nelle indagini un ruolo di primissimo piano, per la Procura, ha assunto Mario Gennaro il quale, proprio grazie all’efficienza della rete commerciale da lui governata, ha acquisito un prestigio imprenditoriale che gli ha fatto guadagnare un ruolo di vertice nelle imprese estere impegnate nel settore commerciale. Gennaro ha finito per rappresentare gli interessi non più della sola cosca originaria di appartenenza (secondo la Dda i Tegano), ma dell’intera ‘ndrangheta provinciale, allettata dagli imponenti flussi economici generati.
«La ’ndrangheta investe nel gioco online. Questa indagine va a toccare un obiettivo forse ancora troppo poco attenzionato rispetto all’importanza e alla rilevanza anche economica di affare criminale che sottende al gioco online»: parole di Franco Roberti, capo della Procura nazionale antimafia e antiterrorismo (Dnaa).
La posta in gioco, è il caso di dire, è colossale: il volume d’affari di una sola agenzia reggina, come hanno svelato le indagini, in pochi giorni era di circa 200mila euro. Lo studio “L’impero della ’ndrangheta” presentato il 15 luglio 2013 a Roma dagli autori Dorina Bianchi e Raffaele Rio, alla presenza del presidente del Senato Piero Grasso, stimava che nel 2012 il gioco d’azzardo avesse fruttato alle cosche calabresi 1,3 miliardi.
C’è di più. Secondo una ricerca presentata a Roma l’11 giugno 2014 dalla Consulta nazionale antiusura (condotta dal sociologo Maurizio Fiasco) il consumo ufficiale delle giocate a Reggio Calabria, che nel 2012 contava 3.951 tra slot e videolottery (per fare un paragone: Rimini,tra le capitali del “divertimentificio” italiano, ne aveva 2.793) è pari al 5,8% del pil provinciale (superiore a quello di province come Reggio- Emilia e Lodi, sicuramente più ricche). A Reggio Calabria, il 22 maggio 2015, venne definitivamente confiscato a Gioacchino Campolo, detto il “re dei videopoker”, un impero stimato in almeno 330 milioni.
Se si esce dal circuito del gioco legale, le cose precipitano. La ricerca della Consulta nazionale antiusura ha infatti svelato che la provincia di Reggio Calabria (dove, grazie ai tentacoli delle cosche, c’era secondo la Dda la regia nazionale e internazionale di questo gigantesco riciclaggio) è seconda solo alla provincia di Napoli per giocate in nero. La differenza in valori assoluti tra le puntate ufficiali e quelle abusive è di 245 milioni.
La Dnaa, nella relazione 2014, ha messo in evidenza anche un altro filo rosso potenzialmente devastante non solo per l’Erario ma anche per la velocità con la quale le mafie inquinano con il riciclaggio l’economia legale: la collaborazione tra Cosa nostra, ’ndrangheta e camorra nella gestione di affari comuni e spartizioni dei rischi, che nell’operazione Gambling emerge con prepotenza. I sostituti procuratori nazionali antimafia Francesco Curcio, Maria Vittoria De Simone e Leonida Primicerio, da pagina 83 della relazione rimessa nelle mani di Roberti, nel 2014 scrivevano, a proposito della camorra, che «altro settore da tempo eletto a uno degli ambiti entro i quali appare più conveniente reinvestire profitti criminosi è quello delle agenzie di scommesse che – per la sua peculiare ramificazione territoriale, oltre che per la stretta relazione con il gioco online, per sua natura, dematerializzato – spesso implica il coinvolgimento di più di un sodalizio criminale. Su questo terreno spesso si formano e consolidano alleanze o, viceversa, si consumano sanguinose rotture».