La Stampa, 23 luglio 2015
I tesori nell’archivio del Museo Olimpico di Losanna. Duemila ore di video restaurati insieme con 500 mila fotografie, 40 film ufficiali e 8500 ore di registrazioni sonore: è il Pam, sigla che sta per «Patrimony Assets Management», un mastodontico lavoro durato 7 anni e costato 31 milioni di dollari
Un’immagine dopo l’altra la storia si ricompone ed è quasi un ricordo anche se è datato 1896 e non l’ha mai visto nessuno. Spiridon Louis esce direttamente dalla memoria collettiva e diventa vero, vivo mentre alza le braccia circondato da altri uomini che a loro volta agitano le mani in aria increduli e rapiti. Proprio come noi oggi davanti a una scena così. È l’arrivo della maratona della prima Olimpiade moderna, un traguardo diventato leggenda, ed è uno dei tesori usciti dall’archivio del Museo Olimpico di Losanna. Duemila ore di video restaurati insieme con 500 mila fotografie, 40 film ufficiali e 8500 ore di registrazioni sonore: è il Pam, sigla che sta per «Patrimony Assets Management», un mastodontico lavoro durato 7 anni e costato 31 milioni di dollari.
Il Barone colora i 5 cerchi
Il Cio ha messo insieme una squadra di 40 persone che ha lucidato 100 anni, digitalizzato istantanee che stavano su lastre di vetro, fatto rinascere voci intrappolate nei 78 giri, animato trionfi bloccati dai 35 millimetri. Un viaggio a ritroso per cui sono servite anche le macchine del tempo, la Panasonic ha dovuto ricreare dal nulla un vecchio proiettore fuori produzione da decenni per restituire il movimento alla gloria addormentata.
C’è di tutto, dalla lettera del 6 agosto 1913 in cui De Coubertin abbozza i primi cinque cerchi, colorati a mano proprio da lui, agli scatti delle donne che nel 1900 giocavano a golf nel fuoriprogramma di Parigi. Con le gonne più lunghe delle gambe, le giacchette attillate e scomode, i cappelloni ingombranti in testa. Le signore non erano ancora ammesse ai Giochi, ci sarebbero entrate solo 20 anni dopo, ma nella documentazione è già evidente tutto l’orgoglio e la determinazione delle ragazze che non avevano posto nelle gare importanti e ne volevano uno in fretta.
Una sigaretta prima del via
Catalogare è stata la fase più complicata perché nessuno era davvero consapevole dell’immenso deposito. È stato Jacques Rogge, il predecessore di Thomas Bach, ad avviare l’iniziativa, un presidente del Comitato olimpico particolarmente attento al recupero della memoria.
I ricercatori si sono spostati da un continente all’altro, più di cento voli e praticamente un doppio giro del mondo per seguire le tracce dei campioni perduti, di società andate, di abitudini perse come la gara con i sacchi che apriva le competizioni di atletica. Una sorta di percorso vita interpretato molto seriamente da gente ansiosa di esibire resistenza e audacia. Sfide campestri riprese da cineoperatori traballanti e applaudite da un pubblico da pic nic sull’erba. La tensione non emerge per nulla in quelle foto che hanno ritrovato luce senza perdere il racconto in bianco e nero. In un filmino del 1924 la squadra di bob chiacchiera e fuma a un niente dal via. In lontananza si agita a una bandiera e loro buttano la sigaretta mentre già spingono quella scatola sul ghiaccio. Pazzi spensierati. In un allenamento del 1936 gli sprinter arrivano al campo in canotta bianca, con gli attrezzi per scavarsi le buche dello start. Sarà stato difficile individuare le false partenze e pure la rivalità perché non c’è sequenza in cui manchino continue pacche sulle spalle e sorrisi soddisfatti.
Solo davanti alle sue Olimpiadi si capisce perché De Coubertin abbia pronunciato la controversa frase: «L’importante è partecipare». Oggi pare una battuta, in certe occasioni pure un insulto, invece riconnessa al suo tempo acquisisce improvvisa verità. Quei ragazzi erano davvero felici di stare insieme e probabilmente avvertivano pure di vivere gli ultimi sprazzi di serenità prima di un’altra guerra.
Le «pepite»
Dentro la collezione sfilano equipaggiamenti retrò e coraggio inconsapevole. Gli sciatori si buttavano nelle libere con il berretto di lana in testa, le pattinatrici volteggiavano in cappotto e le tuffatrici parevano Esther Williams. Al Cio chiamano questi ricordi incredibili «pepite» e sono oro vero. Faranno parte di mostre, rassegne, Festival e sono consultabili dalle federazioni, dai partner olimpici, dagli studiosi e da chiunque richieda di vederle alla Mediateca olimpica. Due milioni e 800 mila contenuti e una sequenza a scatti con un maratoneta mito che finalmente non è più immobile nella figurina con le maniche a sbuffo e i baffi pettinati: corre, esulta e scatena la fantasia. Come solo le Olimpiadi sanno fare.