D - la Repubblica, 13 giugno 2015
Uno studio di Serena Vitale sulla morte di Majakovskij
Era così grande che non entrava nella bara. I suoi piedoni sporgevano dritti nella scarpe J.M. Weston, comprate a Parigi. Anche da lontano si vedeva la suola rinforzata con lamine d’acciaio giallastro. Il defunto amava camminare. Ma odiava i pettegolezzi.
Vladimir Majakovskij detto Cucciolo muore il 14 aprile 1930, tra le 10 e le 10,30 del mattino. Si è ucciso, forse. Il libro di Serena Vitale Il defunto odiava i pettegolezzi è un giallo senza colpevole, e forse anche senza delitto. Ricorda un po’ Il giorno della civetta di Sciascia, anche per l’ostinazione. L’autrice torna su frasi, particolari, evidenti incongruenze nelle indagini. Si muove narrativamente come un avvoltoio, aspettando di affondare. La preda non sembra essere la verità, grazie al cielo, ma l’ossessione, la mistificazione, lo story-telling diremmo oggi.
Majakovskij si è sparato un colpo al petto con una pistola Browning, piccola, ma forse grande o invece con una Mauser. Perché la donna che amava, l’attrice Veronika Polonskaja detta Nora, non lo amava, oppure lo amava ma non avrebbe lasciato il marito, oppure lo amava e avrebbe lasciato il marito ma non subito, magari quella sera dopo le prove, se per lui non era troppo disturbo aspettare. Nora quella mattina era con lui nella stanza di passaggio Lubjanskij, o forse era appena uscita, era incinta di lui, ne aveva appena abortito un figlio, non aveva mai avuto rapporti sessuali con lui.
Serena Vitale confronta i verbali della polizia con un diario, che l’attrice pubblica molti anni dopo. Risfoglia le carte, ridà voce a un coro di personaggi, racconta l’inestricabile pasticcio che avvolge la morte del poeta più bello, più bravo e più rivoluzionario. Amatissimo – ai suoi funerali assistettero migliaia di persone – ma incomprensibile. E non solo per via delle sue poesie energiche ma piene di accapo, parole semplici ma che invece chissà cosa dicevano davvero. Incomprensibile proprio per quella sua morte. Possibile che Vladimir Majakovskij, il poeta dalla voce di ferro, egocentrico, esagerato, che amava le pose monumentali si sia ucciso per amore, come un qualsiasi scrittorucolo borghese? E soprattutto: quale amore? Non era forse Lili Brik, la musa con la frusta, la donna cui Cucciolo era fedele e devoto? Da tempo viveva con lei e il marito di lei, Osip Brik. In tre, sì, ma c’era la Rivoluzione, e anche l’amore era stato liberato. Forse però, spiega Serena Vitale, l’amore non c’entra per niente in tutta questa storia. E, a essere precisi, ancora meno c’entra la libertà.