La Stampa, 23 luglio 2015
Nel villaggio di nonna Obama. Mama Sarah rivela: «Quel viaggio in segreto a New York per abbracciare mio nipote Barack». Stasera Obama parte da Washington e torna per la prima volta in Kenia, la terra dei suoi padri, come capo della Casa Bianca
Mama Sarah sta sbucciando le pannocchie di mais, seduta su un gradino davanti alla casa di Kogelo. Me ne porge una per aiutarla: «Dobbiamo preparare l’ugali, il piatto preferito di Barry». Per il resto del mondo, Barry è Barack Obama, presidente degli Stati Uniti; per lei, 94 anni compiuti, è il nipotino perso e ritrovato, che stasera parte da Washington e torna per la prima volta nella terra dei suoi padri come capo della Casa Bianca.
Questa casa spoglia circondata da capanne, sulle colline verdi a un’ora di strada dal Lago Vittoria, e l’origine di tutto. L’aveva costruita il nonno di Barack, Hussein Onyango Obama, quello che si era convertito all’islam, generando poi tanti sospetti sulla vera fede del nipote. Qui, nel 1936, era nato il padre di Barack, tanto sveglio da meritarsi una borsa di studio che nel 1959 lo aveva portato all’università delle Hawaii, dove si era innamorato di una ragazza bianca di nome Ann Dunham. Qui ora è sepolto, dopo l’incidente d’auto che lo aveva ucciso nel 1982, e qui sulla sua tomba era venuto a piangere Barry sei anni dopo, per riconciliarsi col padre che lo aveva abbandonato e con le sue radici.
La matriarca
Mama Sarah non è la nonna biologica di Obama: quella si chiamava Akumu, era una delle tre mogli di Hussein Onyango, ma era scappata dopo avergli dato due figli. Sarah è la moglie rimasta, quella che ha cresciuto il padre di Barry. Perciò lui la chiama nonna, e la venera come la matriarca della famiglia. «Quando venne qui la prima volta – ricorda lei – era felicissimo. Voleva sapere tutto del padre. E noi eravamo felici per lui, perché ne avevamo sentito parlare tanto, ma pensavamo che non lo avremmo mai conosciuto Barry». Sarah dice che Barack senior portava sempre con sé una foto del figlio: «Era orgoglioso di lui. Mi ripeteva che era intelligentissimo e sarebbe diventato una persona importante. Politico, avvocato, scrittore, magari anche presidente».
Abbandonato dal padre
Quando Barry aveva due anni, però, il padre lo abbandonò alle Hawaii con la madre. Andò ad Harvard e conobbe un’altra ragazza bianca, Ruth, che lo seguì in Kenya e gli diede altri due figli. Barry lo rivide solo una volta nella sua vita, quando aveva già dieci anni. Perché? «Voi – risponde Sarah – non potete capire. Barry andava a scuola e mio figlio non voleva portarlo via dagli Stati Uniti. Pensava che sarebbe cresciuto meglio laggiù, avrebbe avuto più opportunità. E adesso, chi ha avuto ragione?».
Prima ancora di andare alle Hawaii e conoscere Ann, il padre di Obama si era già sposato a Kogelo e aveva avuto un figlio, Roy, che adesso si fa chiamare Malik Abongo perché è convertito all’islam, e una figlia, Auma, andata a vivere in Germania. Un irresponsabile, in altre parole, che per inseguire la sue ambizioni trascurava tutto il resto. «Ogni uomo – ha scritto Obama nel libro “The Audacity of Hope” – cerca di soddisfare le attese di suo padre, o riparare ai suoi errori. Suppongo che ciò spieghi la mia particolare malattia».
Tra vuoto e mito
Il piccolo Barry era cresciuto col vuoto e col mito del padre, perché la madre Ann ne parlava sempre bene. Poi però aveva conosciuto a Chicago la sorella Auma, che gli aveva raccontato la verità: un uomo amareggiato, distante e scontroso con i famigliari, che pensava di essere stato allontanato dal governo di Nairobi perché apparteneva alla tribù dei Luo, mentre il presidente Kenyatta era un Kikuyu. Perciò si era rifugiato nell’alcol, fino all’incidente che lo aveva ucciso. Di colpo, come ha scritto nella biografia «Dreams from My Father», Barry si era scontrato con la realtà: «Era nell’immagine di mio padre, l’uomo nero, il figlio dell’Africa, che io avevo condensato tutte le qualità che cercavo in me, le qualità di Martin, Malcolm, DuBois e Mandela. Ora quella immagine era svanita. Rimpiazzata da cosa? Un ubriacone risentito? Un marito violento? Un burocrate sconfitto e solitario? La fantasia di mio padre mi aveva salvato quanto meno dalla disperazione. Ma ora era morto, davvero. Non poteva più dirmi come vivere».
Per fare i conti con questa delusione, Barry era andato a Kogelo, dove aveva trovato l’abbraccio di Mama Sarah. Lei, che aveva sacrificato la propria vita per crescere suo padre, gli aveva spiegato che le cose non sono sempre bianche o nere. Anche suo nonno, Hussein Onyango, aveva avuto molte mogli ed era stato duro con i figli. Soprattutto con Barack senior, affogandolo in un silenzio che nascondeva l’affetto e lasciava affiorare solo la delusione. «Ma la verità – racconta Sarah – è che facevano così perché dovevano. Così un uomo vero manifestava il suo amore».
Barry lo aveva capito una sera, piangendo sopra la tomba del padre che sta qui dietro: «Caddi a terra e passai la mano sulle mattonelle gialle che la coprivano. Oh padre, gridai. Non c’era vergogna nella tua confusione. Così come non c’era stata in tuo padre prima di te. C’era vergogna solo nel silenzio che la paura aveva prodotto. Quel silenzio che ci ha traditi tutti».
«Doveva avvisare»
Adesso il fratello maggiore Malik, che da giovane beveva con Barry il terribile alcolico chang’aa e gli aveva fatto da testimone di nozze, si lamenta perché «abbiamo saputo solo dai giornali che veniva. Avrebbe dovuto informare la famiglia e passare qui, a rendere omaggio sulla tomba di suo padre». Mama Sarah, invece, è più comprensiva: «Viene come presidente, per visitare il Kenya e tutti i kenioti. Per parlare di economia, la corruzione che divora il nostro Paese, il terrorismo che ci minaccia. Non poteva perdere tempo con noi». Anche se il governo di Siaya, la contea locale, ha speso un milione di scellini per ripulire le strade. Anche se qui la gente resta povera, il 18% della popolazione ha l’Aids, e le due scuole intitolate a lui cadono a pezzi. Non è successo molto di buono per Kogelo, da quando è presidente, a parte la fondazione intitolata alla nonna che promette di riparare le scuole, costruire un asilo e un ospedale. Mama Sarah, però, ha un segreto da svelare, che forse la rende più docile: «Il mese scorso sono stata a New York per incontrarlo. Era molto felice di vedermi, come sempre tanto affettuoso. Tornerà, quando non sarà più Presidente, a mangiare il mio ugali. E magari si fermerà qui, per sempre».