Libero, 23 luglio 2015
La straordinaria vita di Michael Jordan raccontata in 700 pagine. «If i could be like Mike». «Se potessi essere come Mike», è il testo di uno storico spot televisivo con protagonista il cestista americano. Chi non ha mai sognato, anche solo per un secondo, di essere come il mitico MJ?
«If i could be like Mike». «Se potessi essere come Mike», è il testo di uno storico spot televisivo con protagonista Michael Jordan. Chi non ha mai sognato, anche solo per un secondo, di essere come il mitico MJ? Tutti, compreso il sottoscritto. Per questo leggere le oltre 700 pagine di Michael Jordan, la vita, biografia scritta da Roland Lazenby ed edita in Italia da 66thtnd2nd nella collana «Vite Inattese», serve a capire cosa sia stata la vita del 23. Un sogno, per molti aspetti, ma non senza problemi.
Si parte da lontano, lontanissimo, non solo come distanza ma anche come anno. Precisamente, il racconto inizia nel 1891, primo protagonista Dawson Jordan, bisnonno di Michael, nonché contrabbandiere di whisky e zatteriere nella North Carolina post-Guerra Civile. Una vita non facile, quella dei Jordan, tra morti e schiavitù, nonostante una famiglia di grandi lavoratori. Per la svolta, però, bisogna aspettare il 1963, quando a Brooklyn (ma poi torneranno in Carolina) mamma Deloris dà alla luce il piccolo Michael Jeffrey. Che cresce prima come talento del baseball, poi passa alla palla a spicchi, dove non mancano le delusioni, come l’esclusione dalla squadra della Laney High School al suo secondo anno. Le rivincite non tardano ad arrivare, a partire dalla stagione seguente, poi passando all’università di North Carolina, infine in Nba, gli scontri con le leggende come Magic Johnson e Larry Bird, la cavalcata dei Chicago Bulls targati Phil Jackson. E poi la parentesi nel baseball, le due medaglie olimpiche, gli ultimi giorni sul parquet con la maglia dei Washington Wizards.
Lazenby ci guida in un lungo viaggio alla scoperta di cosa ci sia prima, durante, dopo, dietro i sei anelli, i 32292 punti segnati, i 6672 rimbalzi, le oltre 1000 partite della carriera di MJ. Perché, partendo dal 1891, si arriva praticamente ai giorni nostri, con il Jordan proprietario dei Charlotte Hornets. Ma la storia non è di quelle perfette, tutte rose e fiori, come spesso è sembrato. Perché a fianco dei tanti successi ci sono anche momenti bui, come le difficoltà in famiglia e la morte del padre, probabilmente tra le cause del suo primo addio al basket, nel 1993.
L’immagine che ne esce è di un Jordan dalle diverse personalità, una pubblica e una privata. Quella pubblica è quella del campione inarrivabile, del giocatore che ha rivoluzionato l’Nba, ma anche il rapporto sportivi-sponsor, con gli affari con la Nike; quella privata è di un personaggio instancabile, super-esigente con i compagni, tanto da arrivare a più di uno scontro (quello con Steve Kerr, attuale coach dei Golden State neocampioni Nba, che ne uscì con un occhio nero) e iper-competitivo, in campo e fuori. E se sul parquet utilizzava questa sua caratteristica per far man bassa di titoli, lontano dai palazzetti ha rischiato di essergli fatale, visti i problemi con il gioco d’azzardo e le scommesse soprattutto legate al golf, la sua seconda passione. Momenti bui che fanno da contraltare ad altri che rimarranno per sempre nella mente dei tifosi, dal «Flu Game» (44 punti nella vittori contro Utah in gara-5 nel 1997, nonostante un’intossicazione alimentare) all’ultimo tiro con la maglia Bulls, sempre contro Utah, ma l’anno seguente. Una cavalcata avvincente, tra luci e ombre, tra successi e delusioni. Lazenby rimette sotto i riflettori la leggenda di MJ23, perché di leggenda è giusto si parli. «È Dio travestito da Michael Jordan». Lo ha detto un certo Larry Bird, non vediamo perché smentirlo.