Libero, 23 luglio 2015
Erdogan sempre più in difficoltà, chiuso tra la questione curda e la minaccia del Califfato. La Turchia è in preda al caos politico dopo l’attentato del 20 luglio in cui sono stati uccisi a Suruc 32 giovani che si erano radunati per andare volontari ad aiutare i curdi siriani a ricostruire Kobane. La vendetta del Pkk: uccisi due agenti. Quindi le foto della strage censurate su Twitter
Turchia sempre più in preda al caos politico dopo l’attentato del 20 luglio in cui sono stati uccisi a Suruc, nei pressi della frontiera con la Siria, 32 giovani che si erano radunati per andare volontari ad aiutare i curdi siriani a ricostruire Kobane.
Il fatto di sangue ha infatti messo crudemente a nudo molte delle pecche e della scelte effettuate negli ultimi due anni da un Erdogan, che nel frattempo non riesce a far chiudere al suo fidato ex premier Mehemet Davutoglu la formazione di un nuovo governo, dopo elezioni in cui l’Akp, il suo partito, ha perso un 10% secco e quindi la maggioranza assoluta nel Parlamento.
La giornata di ieri è stata frenetica: la prima notizia che è piombata sul Paese è stata l’uccisione di due poliziotti del nucleo antisommossa a Sanlirufa Ceylanpinar, nei pressi della frontiera con la Siria. Attentato rivendicato dal movimento armato turco-curdo Pkk, «per vendicare i morti di Suruc».
Poco dopo, il giudice di Pace di Suruc ha emesso un divieto di pubblicare su Internet le immagini strazianti dei corpi dilaniati dei giovani morti nell’attentato di due giorni fa. Decisione, peraltro smentita e cassata dopo poche ore dalla corte penale di Sanlirufa. Per tutta la giornata poi, come già era avvenuto nei giorni scorsi, Internet e i media turchi sono stati attraversati dalle polemiche sulla “porosità” della frontiera turco-siriana, voluta dal governo di Ankara. Le forze dell’opposizione, in primis il partito curdo Hdp (trionfatore alle elezioni politiche) hanno infatti collegato la facilità con cui gli attentatori di Suruc sono penetrati dalla Siria in Turchia, alla decisione di Erdogan di permettere dal 2013 agli jihadisti siriani di entrare e uscire da quel confine, permettendo addirittura che vi passassero cospicui armamenti. Accuse provate: nel gennaio 2014 Can Dundar, direttore del quotidiano di opposizione Cumhuriyet, ha infatti pubblicato un serie di fotografie che documentavano indiscutibilmente come agenti dei servizi segreti turchi (Mit) avessero scortato molti camion pieni di armi e di jihadisti diretti in Siria dal territorio turco. Arrestato e accusato di spionaggio, Can Dundar è andato sotto processo poco prima delle elezioni e durante il dibattimento il Pm ha chiesto per lui l’ergastolo.
Questo scandalo – goffamente e arbitrariamente soffocato da Erdogan – ha dunque confermato in pieno le accuse che Kemal Kiliçdaroglu, leader del laico Chp, il principale partito di opposizione, aveva rivolto in Parlamento contro Hakan Fidan, il capo del Mit, accusato di favorire in tutti i modi i jihadisti dell’Isis in Siria. Accuse parzialmente documentate: è infatti evidente che Erdogan e Davutoglu – nell’intento di abbattere il regime siriano di Beshar al Assad – hanno permesso il trasporto d’armi e miliziani in Siria. Ma non è provato che questi aiuti siano stati indirizzati all’Isis e non – come è assai più probabile – ad altre organizzazioni armate.
A riprova che le accuse dell’opposizione erano e sono vere, ieri l’Esercito turco ha fermato ben 432 persone provenienti dalla Siria, fatto mai avvenuto prima, che indica come ad Ankara i nervi siano tesi e scoperti. Sta di fatto che l’attentato di Suruc è cascato in piena crisi politica, irrigidisce tutti i partiti, impedisce a Davutoglu di organizzare una obbligatoria coalizione entro 45 giorni dall’inizio del mandato e probabilmente obbligherà Erdogan a indire nuove elezioni a settembre-ottobre.
Nel complesso, si verifica una crescente perdita di controllo del Paese da parte di Erdogan. Agli atti, c’è poi una conseguenza immediata: il processo di pacificazione con i curdi turchi che Erdogan aveva concordato con Abdullah Oçalan è – se non saltato – gravemente compromesso, con enorme e ulteriore danno al prestigio personale dello stesso Erdogan.