Corriere della Sera, 23 luglio 2015
Anto’ fa caldo. Quell’eterna indecisione tra il condizionatore e le finestre aperte di un popolo che si lamenta sia quando l’estate c’è che quando non c’è. E questo continuo insistere sulle temperature infernali ci predispone a comportamenti pericolosi
Che dire: mi chiamo anche Antonio, immaginate in questi giorni di calura quante persone mi dicono a ripetizione: Anto’ fa caldo. Va bene, da giorni le temperature sono alte e tuttavia credo che non ci faccia bene esagerare con gli aggettivi: è ragione di stress parlare di caldo infernale, africano, misurare continuamente i picchi di massima, ragionare sul (fantomatico) caldo percepito. Tutto questo crea ansia – e una popolazione di spiritosi che mi dicono: Antò fa caldo. A parte che abbiamo scarsa memoria per gli eventi, l’anno scorso di questi tempi ci lamentavamo dell’estate che non c’era, e ora al contrario parliamo dell’estate che c’è. Questo continuo insistere sulle temperature infernali ci predispone a comportamenti pericolosi. Desideriamo che il caldo sparisca all’improvviso, quindi chiediamo di accendere l’aria condizionata (grande invenzione), e però, siccome fa tanto caldo – è infernale, africano – non riusciamo a sopportare il necessario tempo tecnico per rinfrescare l’interno, così chiediamo di tenere l’aria accesa e le finestre aperte: a situazioni eccezionali si risponde con interventi eccezionali. È un controsenso. Ma le cattive abitudini sono veloci, si diffondono. A me sta capitando, per esempio, entro nella stanza del mio ufficio trovo le finestre aperte e il condizionatore a 10 gradi: così si rinfresca prima e non si patisce il caldo, dice il collega. Insiste, se chiudi le finestre nel frattempo che l’aria condizionata cominci a funzionare noi moriamo dal caldo. E siccome lo guardo basito, lui per rispondermi mi guarda sornione, e indovinate che cosa simpatica mi dice?