La Stampa, 22 luglio 2015
Fanny, la diciottenne sieropositiva dalla nascita che tiene sotto controllo l’Aids da dodici anni. Senza anti-retrovirali. Secondo gli esperti che l’hanno seguita è probabile che la remissione sia frutto dell’inizio precoce delle terapie. Attenzione però a non alimentare false illusioni
Un caso destinato a fare storia. Fanny – chiamiamola così, per ragioni di privacy – è una diciottenne sieropositiva che a 12 anni dalla sospensione delle terapie anti-retrovirali non presenta alcun segno della malattia. A darne notizia, alla conferenza dell’International Aids Society in corso a Vancouver, Canada, sono stati alcuni ricercatori dell’Istituto Pasteur di Parigi, dove la giovane è stata seguita. Un caso raro – il primo che riguarda una persona infetta dalla nascita – e che rappresenta un’eccezione: la stragrande maggioranza degli individui sieropositivi, infatti, se vogliono sopravvivere e non sviluppare la malattia, devono assumere una lunga serie di farmaci.
L’Aids – la sindrome da immunodeficienza acquisita – è una patologia causata dalla presenza del virus dell’Hiv. Quest’ultimo, infettando le cellule del sistema immunitario, rende le persone affette più vulnerabili a molte malattie che, in genere, nei sani, non creano particolari problemi. Fungendo da «cavallo di Troia», il virus distrugge progressivamente le difese, lasciando il corpo senza protezione. Così un’influenza può risultare fatale. Oggi si stima che nel mondo solo la metà delle persone con Hiv sia a conoscenza del proprio stato.
Se agli inizi degli Anni 90 la diagnosi significava una condanna a morte, oggi, grazie a terapie innovative, il corso della malattia è cambiato radicalmente. Se trattata in tempo, l’aspettativa di vita media è paragonabile a quella di chi non è mai venuto in contatto con il virus. Una rivoluzione, avvenuta con lo sviluppo dei farmaci anti-retrovirali, molecole in grado di agire sui meccanismi che il virus mette in atto per infettare le cellule e replicarsi. Un approccio che, però, al momento, non porta a una guarigione completa: il virus, infatti, continua a essere presente, anche se viene tenuto a bada in modo che non faccia danni. Così il numero di decessi è progressivamente diminuito ogni anno e l’Aids è considerato, a tutti gli effetti, una malattia cronica.
Ora il caso della ragazza francese, raccontato da Asier Saez-Cirion, riaccende il dibattito sulla remissione completa della malattia. Nel 1996 Fanny è nata sieropositiva. All’età di tre mesi ha iniziato le terapie ma, per motivi che non sono stati resi noti, a sei anni ha sospeso l’assunzione di tutti i farmaci. Oggi, a distanza di 12 anni, i medici francesi sostengono che i livelli del virus nel sangue della ragazza sono troppo bassi per essere misurati. Fanny, dunque, sembra essere libera dal virus.
Secondo gli esperti che l’hanno seguita è probabile che la remissione sia frutto dell’inizio precoce delle terapie. Attenzione però – aggiungono – a non alimentare false illusioni: la vicenda si aggiunge a quelle di un numero molto ristretto di altri individui. L’esempio più famoso è il «Visconti cohort», un gruppo di 14 adulti sieropositivi che sono rimasti liberi dalla malattia per molto tempo (in un caso sono passati addirittura 13 anni). Diverso, invece, è il caso di «Mississippi baby». Nata sieropositiva nel 2010 – e subito sottoposta a terapia antiretrovirale – nel 2013 la bambina è stata dichiarata «libera dalla malattia». Nel suo sangue la carica virale – come nel caso di Fanny – non era più misurabile. Un successo che però si è rivelato temporaneo: nel luglio 2014 il virus è ricomparso. E un episodio analogo si era verificato lo scorso ottobre in un bimbo di Milano.
Quella di Fanny, dunque, è una vicenda più unica che rara che, tuttavia, conferma ancora una volta l’importanza delle cure in fase precoce. Rimane il mistero del perché alcune persone – nonostante la sospensione degli antiretrovirali – riescano autonomamente a controllare il virus. Alcuni studi – considerati ancora preliminari – indicano che la ragazza francese condivida alcuni geni con quelli del «Visconti cohort». Spetta ora agli scienziati decifrare il mistero. Un mistero che potrebbe portare all’individuazione, su base genetica, delle persone che potenzialmente potrebbero un giorno sospendere le cure.
Spiega Deborah Persaud del Johns Hopkins Children’s Center di Baltimore e che ha studiato la «Mississippi baby»: «Abbiamo avuto molti casi di ragazzi trattati per anni che, dopo aver sospeso i farmaci, hanno avuto un ritorno del virus. Ecco perché il messaggio è chiaro: si devono sempre continuare i trattamenti».