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 2015  luglio 22 Mercoledì calendario

Unioni civili, la Corte europea dei diritti dell’uomo accoglie il ricorso di tre coppie e condanna l’Italia: «La sentenza è vincolante, sebbene non tocchi a noi dire come va fatta la legge. Qualora non avvenisse, scatterebbe una procedura di violazione in cui il comitato dei ministri eserciterebbe pressione politica nei confronti di Roma». Niente di più, nessuna sanzione. Alla peggio, l’Italia si troverebbe a pagare una multa di poche migliaia di euro

Il principio che riapre dibattito e polemica vuole essere lineare. Una sentenza pronunciata ieri dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, istituzione non legata all’Ue, afferma che «la protezione legale attualmente vigente (in Italia) per le coppie dello stesso sesso non solo non garantisce i bisogni fondamentali di una relazione stabile, ma non è neanche sufficientemente affidabile». La conseguenza è che il Parlamento dovrebbe introdurre senza esitazione il riconoscimento dei sodalizi omosessuali, «preferibilmente attraverso la disciplina delle unioni civili». Un tema, questo, che divide da anni le forze politiche e la società civile. Ma che, sottolineano i giudici di Strasburgo, «secondo gli ultimi sondaggi trova favorevole la maggioranza dei cittadini».
Il caso segna un precedente di rilievo. Lo hanno animato tre coppie gay, una di Trento, una di Milano e una del brianzolo Lissone, sei uomini di età e radici diverse, nati fra il 1959 e il 1976, uniti dal fatto di voler veder riconoscere la loro relazione, di esserlo visto negare, e di aver deciso di ricorrere al più alto garante europeo per i diritti dei singoli. L’hanno spuntata. Per ora, va sottolineato, visto che la «sentenza di Camera» non è definitiva ed entro tre mesi può essere impugnata dall’Italia davanti ai cinque giudici della «Grande Camera». Tuttavia le decisioni ribaltate sono in verità rare.
Se il dettame della sentenza fosse confermato, tutti e 47 gli Stati che fanno parte del Consiglio d’Europa – compresi la Russia e la Turchia -, sarebbero in teoria obbligati a legalizzare le unioni gay, il che per Strasburgo non vuol dire necessariamente i matrimoni. «La sentenza è vincolante, sebbene non tocchi a noi dire come va fatta la legge – spiega una portavoce della Corte -. Qualora non avvenisse, scatterebbe una procedura di violazione in cui il comitato dei ministri eserciterebbe pressione politica nei confronti di Roma». Niente di più, nessuna sanzione. Alla peggio, l’Italia si troverebbe a pagare una multa di poche migliaia di euro, per ognuna delle cause simili a quella definita ieri che avrebbero naturalmente un rapido esito analogo. Un piccolo conto per una questione sinora parecchio controversa lungo la penisola.
I magistrati di Strasburgo ritengono che l’Italia abbia violato l’art.8 della Convenzione europea per i diritti umani, quello che si occupa del rispetto della vita delle famiglie. Notano inoltre che 24 degli Stati del Consiglio d’Europa hanno disciplinato le unioni fra persone dello stesso sesso. A questo, si è aggiunta la constatazione che nel 2010, intervenendo proprio su uno dei tre caso esaminati a Strasburgo, la nostra Corte Costituzionale «ha indicato l’esigenza di riconoscere e proteggere le relazioni omosessuali». Il governo italiano, si legge nel dispositivo, «non ha negato l’esigenza e non è riuscito a dimostrare alcun interesse collettivo che giustifichi lo stato delle cose». Pesante la frase secondo cui l’Italia è «l’unica democrazia occidentale» a non riconoscere le unioni gay. In realtà, c’è anche la Grecia.
Come da copione le reazioni. Per Ivan Scalfarotto, sottosegretario ai rapporti col Parlamento, la condanna arriva dopo che «ho digiunato per spiegare che non avere una legge sulle unioni gay era un grave imbarazzo». Il coordinatore nazionale di Sel, Nicola Fratoianni, ricorda che «esiste una possibile maggioranza per approvare un testo ben più avanzato di quello in discussione al Senato». I grillini invitano a «smettere di fare melina». Il leghista Salvini rispolvera la retorica dei «burocrati che decidono per noi». Il Nuovo Centrodestra è favorevole al riconoscimento delle unioni, senza equipararle ai matrimoni. Mara Carfagna, portavoce forzista alla Camera: «È giunta l’ora per l’Italia di riconoscere le unioni omoaffettive». In effetti adesso sarebbe meglio se il Parlamento votasse e decidesse, perché la parole hanno fatto il loro tempo.