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 2015  luglio 22 Mercoledì calendario

Orbán viene descritto come una sorta di fascistello dai media del resto di Europa, eppure la sua Ungheria va. Le riforme sono state compiute, l’economia cresce e il Paese è sicuro e pulito. Tra divieti bizzarri: fumo, nazismo e comunismo

Ci sono voluti quattro giorni per capirlo, ma ecco il primo indizio: no, non siamo in Svizzera. Finalmente un’aria europea di quelle che siamo abituati a respirare. Di più, aria di casa. L’aeroporto è sotto una pioggia battente. E piove anche al suo interno, nel bar fra i gate A7 e A9, davanti ai bei negozi per turisti. Piove a dirotto, e assisto in diretta a una soluzione di emergenza. Un addetto dello scalo prende due grossi bidoni della spazzatura blu, li piazza sotto la cascata che scende dal soffitto, e tampona alla bell’e meglio. Siamo già atterrati a Roma, aeroporto di Fiumicino? Ma no, è ancora Budapest, Ungheria. Ed è il primo – l’unico – segnale in quattro giorni di un Paese che non è ancora la nuova Svizzera d’Europa. Ma lo sembra davvero tanto.
Se un turista arrivasse lì senza mai avere aperto una pagina di giornale del suo Paese, resterebbe davvero sorpreso. Può macinare chilometri a piedi per la città e non troverà mai l’assalto di un venditore di rose, di un ambulante improvvisato, di un mendicante che non molla la presa. Gli unici a proporsi e insistere un po’ sono i ragazzi in regolare divisa delle varie compagnie che offrono giri della capitale ungherese in pullman scoperti per godersi la vista della città o in battelli per piccole crociere sul Danubio. Il turista che nulla sa dell’Ungheria e del suo governo può girare a piedi o in metropolitana senza grandi timori: le statistiche segnalano un crollo verticale negli ultimi tre anni della piccola criminalità, e gli episodi ancora più frequenti riguardano truffe compiute da italiani. E visto che lì si portano usi e costumi di casa propria, è bene dare un’occhiata anche a come sono le strade. Non c’è una bottiglietta di plastica in terra, non una cartaccia. In tutto il centro città si fatica pure a trovare un mozzicone di sigaretta. Però è pieno di cestini della spazzatura e di portaceneri volanti in colonne di ferro. E se ci si ferma ogni ora si può vedere un addetto alla nettezza urbana della città che viene a svuotare cestini e portaceneri. Budapest colpisce soprattutto per quello: è pulitissima ovunque. Perfino sugli argini del Danubio: l’acqua non risplende, e i numerosi battelli sicuramente la inquinano, ma in nessun punto sulla riva si trova sporcizia, non c’è traccia di rifiuti e mini-discariche come spesso accade intorno ai fiumi italiani.
Adesso potete prendere in mano la rassegna stampa di questi anni. E allora sentirete parlare di Victor Orbán, il premier ungherese razzista che vuole tirare su un muro al confine della Serbia per sottrarre il suo Paese all’ondata di immigrati. Che il problema esista, è vero. Nei primi tre mesi del 2015 nella Ue sono arrivati 184 mila profughi. La Germania ne ha accolti 73.120, l’Ungheria è il secondo Paese con 32.810, ma ha una popolazione sei volte inferiore a quella tedesca, e pesano molto di più. L’Italia è al terzo posto della classifica, ma sono 15.245, la metà di quelli arrivati in Ungheria.
Orbán viene descritto come una sorta di fascistello dai media del resto di Europa. È l’uomo che ha sconfitto i socialisti che erano al potere quasi ininterrottamente dalla caduta del muro di Berlino. Il suo partito, Fidesz, è conservatore, e sicuramente nazionalista. Ma non è di destra estrema, tanto è che proprio in quelle fila sta crescendo il suo principale antagonista politico (Jobbik). Orbán per altro aderisce al partito popolare europeo, e il suo governo ha vissuto due stagioni. Una assai liberale, con privatizzazioni e liberalizzazioni spinte. E un secondo tempo più nazionalista. Ma le cose che gli imputano sono le stesse che fanno discutere in Italia a proposito di Matteo Renzi: una riforma costituzionale che ha diminuito il peso del Parlamento e rafforzato quello dell’esecutivo, e una legge elettorale fortemente maggioritaria che gli ha consentito di tornare al potere nel 2014 raccogliendo poco più del 44% dei consensi ed ottenendo quasi il 60% dei seggi. L’Ungaricum, fratello gemello dell’Italicum. Eppure è bastato questo ad Orbán perchè nei consessi che contano dell’Unione europea lo ribattezzassero «il dittatorello». Il pugno di ferro c’è, e lo usa. Perché non si vedono in giro venditori ambulanti e mendicanti? Perchè è vietato mendicare e ambulare. Budapest ha costruito in brevissimo tempo ricoveri per i senza tetto, e li ha tolti dalla strada. Perché non si vedono mozziconi di sigaretta in terra? Perché quasi ovunque è vietato fumare. Non si può accendere la sigaretta in nessun luogo pubblico chiuso e nemmeno in molti luoghi all’aperto. È vietato fumare in molti parchi pubblici, non si può alle fermate di tram, bus e battelli (e in ogni angolo un cartello in bella vista lo ricorda), non si fuma nemmeno nei tavoli all’aperto dei ristoranti. La legge dice che non si può nel raggio di dieci metri dall’entrata del locale, e le multe fioccano salate.
C’è anche un altro divieto che fa discutere: sono fuori legge ogni partito e simbolo del nazismo e del comunismo. Vietate le croci uncinate, ma anche ogni simbolo con falce e martello. Comunismo e nazismo rappresentano la tragedia della storia ungherese. E un museo, il Museo del Terrore – unicum in Europa – fa vedere gli orrori dell’uno e dell’altro mettendoli per la prima volta sullo stesso piano. Il museo vale davvero la visita: in quel palazzo torturarono i prigionieri politici prima le Ss e poi i colonnelli di Stalin. Insieme ai simboli dell’orrore, in ogni stanza ci sono le testimonianze video e scritte dei sopravvissuti, e commuovono. Il desiderio di uscire da quel passato si vede anche in Szabadsàg tér (piazza della Libertà), dove da poco è stato inaugurato un discusso monumento alle vittime del nazismo. Discusso perchè simbolicamente l’Ungheria si auto-assolve dalle sue responsabilità storiche: un’aquila nera della Germania nazista artiglia l’arcangelo Gabriele (l’Ungheria). Una riscrittura della storia che però viene ristabilita fin nei particolari nel museo della Grande Sinagoga, che vale anche quello la visita.
Piena di divieti Budapest, ma non ci sono solo quelli. Basta passare la sera per Erzsébet tér, piazza che pullula di giovani seduti intorno a un laghetto artificiale con un bicchiere di birra in mano a chiacchierare e scherzare fra loro. Il mattino dopo non si troverà nemmeno lì un mozzicone di sigaretta o un rifiuto: tutto lindo come fosse passata un’impresa di pulizie. C’è pure vita notturna, e non solo per i turisti: dall’ora dell’aperitivo ai locali dove si ascolta buona musica che affollano il centro città ma anche le periferie.
In quattro giorni ho conosciuto anche italiani che vivono lì da anni. «Questa città è cambiata molto negli ultimi dieci anni, facendo un balzo in avanti incredibile», spiega Roberto, milanese che fa il capo del personale di una società del gruppo Eni a Budapest. «Sono finita qui per caso, dopo essermi sposata, e mio marito ha trovato lavoro per una società americana», dice Sonia, altra milanese di poco più di 30 anni incontrata su un tram, «e non verrei più via. Mio figlio è nato qui. Avevo bisogno di una visita ortopedica, e l’ho portato a Milano andando a trovare mia mamma. Mi hanno fissato appuntamento dieci mesi dopo. Sono tornata qui e in 15 giorni ho fissato la visita. Il bimbo va all’asilo nido, qui c’è il buono scuola legato al reddito. Ma anche se noi due lavoriamo e siamo pagati in euro, quindi considerati benestanti, abbiamo diritto a quel buono come tutti i lavoratori ungheresi. Lo mando all’asilo nido privato, e siccome siamo nella fascia più alta di reddito, ci sosta 100 euro al mese. Il servizio è perfetto e incomparabile con quello italiano».