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 2015  luglio 22 Mercoledì calendario

Ritratto di Reem Sahwil e delle sue lacrime che hanno fatto il giro del mondo. La ragazzina che ha pianto davanti alla Merkel è nata prematuramente nel 2000 in un campo profughi libanese con un difetto cerebrale che le ha paralizzato parzialmente il lato sinistro. Poi la guerra, una fuga in Siria, il ritorno in Libano e l’incidente nel quale si rompe una gamba («quella sana») e si sfregia il volto. Ma alla fine dalla Germania arriva il visto per le cure mediche. Ora pensa solo a studiare e al suo futuro: le piacerebbe fare l’interprete o l’insegnante per aiutare gli altri a superare le barriere di comunicazione

Accucciata su un copriletto rosa popolato da animali di peluche. Così il New York Times descrive la ragazzina palestinese Reem Sahwil, incontrata nella sua casa alla periferia di Rostock, nel nord della Germania, dove vive da cinque anni con i suoi genitori e i due fratelli minori: è lei la quattordicenne le cui lacrime hanno fatto il giro del mondo (e della rete) qualche giorno fa, quando Angela Merkel, alla richiesta di poter rimanere in Germania, le ha risposto, davanti ai teleschermi, che non si possono accogliere tutti i migranti e che la politica a volte deve essere dura. Era stata fin troppo professionale, la cancelliera: avrebbe potuto usare parole più lievi di fronte a una ragazza piena di angoscia e di speranze per sé e per la sua famiglia. Davanti a quel pianto dirotto, la Merkel le si era avvicinata facendole una carezza, per quanto, forse, goffamente; eppure nell’insieme si era guadagnata la sollevazione del popolo social per la freddezza eccessiva della risposta.
Meglio la freddezza o l’ipocrisia? Nel dubbio, un paio di giorni fa, per rassicurare gli indignati dal cuore tenero, è intervenuta la ministra tedesca delle Politiche migratorie Aydan Oezoguz: «Non conosco la situazione personale della ragazza, ma parla perfettamente tedesco e vive qui già da tempo. Proprio per persone come lei abbiamo appena modificato la legge, dando qui da noi una prospettiva ai giovani che si sono integrati».
Dunque, il lieto fine? Forse. «Sono stata trattata bene», ha detto Reem, che già nei giorni scorsi tutto ha espresso sulla vicenda tranne che rimprovero o risentimento. «Ho avuto molto a che fare con guerre e insicurezze. Per questo sono felice di essere qui, perché mi sento al sicuro», aveva detto semplicemente. Desiderio più che comprensibile per una ragazza che nella sua breve vita ne ha già viste tante (troppe) e che adesso abita con la sua famiglia in un appartamento finanziato dal governo di Berlino e frequenta una scuola pubblica. Nel suo tedesco privo di incertezze, aveva aggiunto che dopo la scuola vorrebbe iscriversi all’università: «Fare qualcosa, studiare per migliorare il futuro». Parole oggettivamente insolite, anche per orecchi non necessariamente teneri. Ha poi precisato il suo progetto: le piacerebbe fare l’interprete o l’insegnante per aiutare gli altri a superare le barriere di comunicazione.
La storia di Reem è eccezionale non solo perché è un’infanzia palestinese: è nata (prematuramente) nel 2000 in un campo profughi libanese. Quando è scoppiata a piangere, nessuno avrebbe detto, guardandola in tv, che un difetto cerebrale le ha paralizzato parzialmente il lato sinistro rendendole problematico il camminare. Non è stato semplice affrontare le spese mediche per il padre operaio. Non semplice, in generale, andare avanti per la famiglia Sahwil: dopo una breve fuga in Siria, il ritorno in Libano. E con la malasorte che sembra accanirsi contro la bambina: un incidente, una frattura alla gamba destra («quella sana», scherza adesso), una ferita sulla fronte che le lascia una cicatrice sul bel viso triste. Rifiutato dalla Svezia, il visto viene concesso dalla Germania per le cure mediche, con il viaggio pagato dal datore di lavoro di papà. Ora, a Rostock, la salute va meglio. La vita e la sicurezza anche. Roland Methling, il sindaco di Rostock, ha detto che farà di tutto perché le famiglie che vivono nelle stesse condizioni dei Sahwil ottengano l’asilo nella sua giurisdizione. E ha aggiunto che la Germania, l’Europa e la Palestina hanno bisogno di figure come Reem. Come dargli torto. «Contenta che siano cominciate le vacanze? Certo – ha detto la ragazza – ma quando mi trovo a scuola sento di fare qualcosa di utile per la mia vita».