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 2015  luglio 22 Mercoledì calendario

Dai Tuareg ai falchi di Tobruk, così la Libia è finita nel caos. Sono decine le fazioni in lotta per la conquista del potere: saltati gli accordi tra tribù nel Sud. Incontro tra il ministro Gentiloni e l’inviato dell’Onu Leon: «Prevedo ancora giornate buie».

Dopo gli accordi del dodici luglio scorso a Skhirat, in Marocco, che avevano fatto segnare un primo timido passo verso un cessate il fuoco tra le fazioni libiche in lotta per il potere nel Paese africano, la situazione si è resa ancora più complicata per il no dei rappresentati del parlamento di Tripoli e l’opposizione di alcuni falchi presenti in entrambi gli schieramenti. Mentre diverse città hanno firmato tra loro accordi autonomi e hanno deciso di siglare trattati di non belligeranza, come è sucesso anche lo scorso quattordici di luglio tra le città di Zintan, Zawiah e Rujban in Tripolitania, le fazioni che controllano il parlamento libico e la capitale hanno deciso di non sedere, per il momento al tavolo delle trattative, anche se una porta è stata lasciata aperta al dialogo.
LA SPACCATURA
Anche l’accordo di pace stipulato tra tribù ed etnie avversarie nel sud del Paese, come quello avvenuto tra l’etnia toubu (alleati di Tobruk) e i Tuareg (schierati con Tripoli) è stato rotto nei giorni scorsi, segno che le tregue sono molto deboli ed instabili. Ma un ulteriore giro di vite contro gli intransigenti è stato portato proprio dall’Onu e dall’Unione Europea in queste ultime ore. Il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, in una conferenza stampa congiunta tenutasi ieri alla Farnesina con Bernardino Leon, inviato dell’Onu per la Libia il quale si è mostrato ottimista ma nello stesso tempo cauto, definendo l’accordo di pace «la luce in fondo al tunnel di una crisi che ha davanti a sè ancora molte giornate buie». Il ministro Gentiloni invece ha nuovamente invitato «tutte le parti libiche a condividere la sigla dell’accordo e a partecipare ai successivi negoziati sugli allegati che dovranno definire i contorni di un futuro governo di unità nazionale. Deve essere chiaro che chi si sottrarrà o cercherà di boicottare l’intesa avrà una reazione di isolamento da parte della comunità internazionale» ha detto il ministro, riferendosi anche alla riunione di lunedì scorso dei ministri degli esteri dei Paesi Ue a Bruxelles, durante la quale si è discusso del congelamento di beni e movimenti di alcuni signori della guerra libici. La lista sarebbe composta da cinque nomi, tra i quali spiccano quelli dei misuratini Abdurrahman Sewehli (leader del partito più votato a Misurata) e Salah Badi. Badi è un ex parlamentare del parlamento di transizione libico, un duro che ha condotto in prima persona l’attacco contro l’aeroporto di Tripoli nel luglio 2014 strappandolo alle milizie di Zintan. Nel caos dell’era post Gheddafi, Badi si è ritagliato una figura di leader militare indiscusso riuscendo anche a coalizzare numerosi gruppi armati di Misurata (la città ha 280 milizie, con circa quarantamila uomini) nel “Sumood Front”, coalizione che rifiuta ogni accordo con Tobruk. Da qui le future e probabili sanzioni contro di lui.
GLI AVVERSARI
Nel fronte opposto troviamo invece Abdul-Raouf Al-Manaie, membro della camera dei rappresentanti di Tobruk (Hor) e il comandate in capo delle forze armate libiche il generale Khalifa Haftar, insieme al comandate delle forze aeree Saqr Geroushi. Alcuni di questi nomi, come quello di Sewehli e del leader della milizia di Zintan Othman Milaiqtah, erano stati già proposti in sede di Consiglio di Sicurezza dell’Onu lo scorso mese ma la risoluzione venne bloccata da Russia e Cina. Da qui la decisione dell’Unione Europea di procedere in modo autonomo.