il Fatto Quotidiano, 21 luglio 2015
Il disgustoso teatrino degli antimafiosi in carriera. Se non essere lì a via D’Amelio può essere stato un segno di rivolta da parte di chi le fiaccole preferisce tenerle accese nel cuore
Perché meravigliarsi se domenica erano in così pochi, in via D’Amelio, a ricordare Paolo Borsellino e i cinque uomini della scorta vittime della strage mafiosa di 23 anni fa? Perché sorprendersi se il disgustoso teatrino degli antimafiosi in carriera, l’un contro l’altro armati, abbia prodotto nella pubblica opinione una reazione di rigetto, nel senso anche fisico della parola? L’intercettazione infame e misteriosa, Crocetta in lacrime autosospeso, le smentite della Procura, le conferme dell’Espresso, il Pd contro Crocetta, Crocetta che grida al golpe (con l’amico chirurgo Tutino in pose da Ercolino). E ancora: Leoluca Orlando contro Crocetta e Lumia, e Lumia a favore di Crocetta, il Pd contro il Pd e chissà cos’altro ci aspetta ancora. Che c’entra questa roba qui con la figura di Borsellino? Con la sua dedizione? Con il sacrificio suo e degli uomini che non lo lasciavano un attimo, servitori dello Stato votati alla morte? E la dignità dell’uomo consapevole di essere il bersaglio di trattative indicibili ma che non si lasciava sfuggire neppure un sospiro, cosa ha a che fare con gente che ha reso la parola antimafia un’indecorosa burletta e, parole di Lucia Borsellino, un sistema per arraffare poltrone? Ecco allora che non essere lì a via D’Amelio può essere stato un segno di rivolta da parte di chi le fiaccole preferisce tenerle accese nel cuore.