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 2015  luglio 20 Lunedì calendario

Gianluca Mereu, il ventiduenne che ha picchiato i genitori e che poi si è suicidato. Alle 4 di notte era tornato a casa, probabilmente era fatto di erba, urlava frasi sconnesse su Dio, su Gesù Cristo, diceva di voler andare a messa, i suoi cercano di calmarlo ma lui alza le mani sul padre, fa un occhio nero alla madre e scappa. Verso le 7 del mattino viene fermato dagli agenti di polizia, li segue senza fiatare fino in questura e lì si volta di scatto e comincia la sua fuga letale. Sale di corsa le scale e poi si butta giù dalla finestra. Un volo di dieci metri prima di schiantarsi sul soffitto del tunnel interno. Era incensurato

Sei rampe di corsa, una finestra sbarrata a ogni pianerottolo. È forte e veloce, Gianluca Mereu, e anche se in quei locali non è mai stato – sono le scale che vanno dall’atrio degli ascensori al piano del Reparto anticrimine della questura di via Fatebenefratelli – visto che la sua fedina penale è in bianco, il ragazzo riesce a distanziare i due agenti che lo inseguono. Apre un portellone grigio alla sua sinistra, altro atrio, sulla sua destra c’è l’ennesima finestra ma questa ha solo due sbarre orizzontali. Bisogna arrampicarsi a un metro e 30 di altezza per scavalcarla. Gli agenti stanno per raggiungerlo. «Anzi- precisa il questore Luigi Savina prima che si lanciasse hanno provato a fermarlo, lo hanno tenuto per la maglietta».
Gianluca, 22 anni, precipita per dieci metri fino a schiantarsi sul soffitto del tunnel interno che porta agli uffici di Digos e Squadra mobile. Muore sul colpo, manca qualche minuto alle 7 di ieri mattina e per cinque ore il suo corpo rimarrà su quel cemento armato prima che un’autoscala dei pompieri lo porti via, dopo i rilievi di Mobile e Scientifica. Muore dove non si dovrebbe mai, in questura a Milano, dopo tre ore di follia cominciate intorno alle 4 a casa sua, un condominio a cinque piani in piazza Piola col cortile interno curato, le panchine all’ombra degli alberi, la fontana coi pesci. Quiete squarciata da rumori di botte e grida di aiuto che avevano svegliato tutti. Gianluca aveva cenato con papà Geraldo e mamma Marinella alle 18, l’ora dei ristoratori, prima che i Mereu andassero ad aprire il locale di famiglia, la Risacca 2 in zona Porta Venezia. Il giovane, che dopo il diploma e un sabbatico tra Australia e Thailandia dava spesso una mano ai tavoli in attesa di un lavoro fisso, stavolta era uscito intorno alle 21. Dove, con chi e a far cosa non è ancora noto, anche se il sospetto degli investigatori, guidati dalla pm Tiziana Siciliano, è che qualcosa durante la serata abbia fatto sballare Gianluca, che per vizio non aveva alcolici ma erba: la polizia in casa ha trovato 70 grammi di marijuana e hashish.
Torna in piena notte, Gianluca, ed è una furia. Urla frasi sconnesse su Dio, su Gesù Cristo, dice che vuole andare a messa molto presto. Geraldo e Marinella Mereu provano a tranquillizzarlo ma partono lo stesso botte e insulti. Il padre va a rifugiarsi dal figlio maggiore Emanuele, 25 anni, la signora Marinella con un occhio nero finisce al commissariato Città Studi a chiedere aiuto, ma una vicina ha già avvertito il 113: «Ma era la prima volta che li sentivamo in cinque anni – racconta – poi abbiamo aperto la porta e abbiamo visto il ragazzo scappare per le scale». La volante in casa non trova nessuno, in cucina il pentolino per la camomilla è rimasto sul fornello spento. Padre e fratello indirizzano i poliziotti verso la vicina piazza Bernini, davanti ai cancelli della chiesa di San Giovanni in Laterano. Mereu, con un rosario in mano, balbetta che vuole andare a messa, finisce invece sull’auto blu con le sirene, davanti alle camere dei fermati, ma non è in arresto. Un equipaggio del 118, già in questura per un altro malore, lo visita una prima volta. Poi viene richiamato alle 6.33 perché il 22enne, spiegano in questura, continuava a inginocchiarsi, a vaneggiare, a invocare di essere salvato. I sanitari stavolta lo invitano a seguirli verso l’ambulanza, Gianluca pare seguire loro e i due agenti senza fiatare. Invece si volta di scatto e comincia la sua fuga letale. Aperto un fascicolo, stamani verranno fissati autopsia ed esami tossicologici

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Ritratto del ventiduenne che si è ammazzato in questura a Milano
Sognava di partire di nuovo. Da quando lo scorso febbraio era tornato a Milano, dopo mesi passati a studiare in Australia, la vita di prima stava stretta a Gianluca Mereu. Lo raccontava agli amici: «Voglio fare un corso di cucina di tre anni, poi mettere in piedi una cosa tutta mia, lontano da qui». Intanto lavorava con i genitori, sardi di Pauli Arbarei, minuscolo paesino del Campidano. Una famiglia di ristoratori, che gestisce due locali in viale Regina Giovanna, quartiere Porta Venezia. Tornato dal viaggio che gli aveva cambiato la vita, Gianluca viveva la routine del padre e del fratello. Arrivava puntuale al ristorante e non andava via prima di mezzanotte, sera dopo sera. Dopo il turno, un drink con gli amici o con la ragazza. Quasi sempre analcolico, al massimo una birra.
Fisico allenato dal “K1”, una variante della kickboxing, Gianluca amava il ring, ne aveva fatto la propria immagine di copertina su Facebook. «Ci vediamo in palestra», scriveva agli amici dall’Australia. Ma al rientro non si era più iscritto alla vecchia palestra, la Milano Thunder. Era stato anche in Thailandia, Gianluca, e lì si era appassionato alle religioni orientali. Aveva scelto il Tao, «fusione di tutte le cose» nel Confucianesimo, svolta mistica inattesa, fede inaspettata e privata. Negli ultimi giorni prima della tragedia, girava per Milano con in tasca un rosario e aveva cominciato ad andare in chiesa da solo.
Cupo, lontano dal ragazzo spensierato che postava sorrisi dalle gite australiane. «Gianluca fin da piccolissimo era sorridente, un cuor contento – raccontano al ristorante gestito dagli zii – una persona leggera». In una famiglia solida: il padre alla cassa preferisce la cucina, in sala gestisce Emanuele, il fratello maggiore, padre di due figli piccoli. «Uno che sa cosa vuole nella vita, che se lavora dodici ore dopo potrebbe lavorarne altrettante », raccontano fuori dal locale. Gianluca invece il suo posto lo stava ancora cercando. Aveva mantenuto quello in casa, legatissimo alla famiglia. «Amava i suoi genitori - spiegano alla Quarta Carbonaia, il ristorante degli zii - e ci era sempre andato d’accordo, è l’ultima persona del mondo a cui sarebbe potuto venire in mente di aggredirli. Se si è ucciso, potrebbe essere per lo sconforto di avere realizzato quello che aveva fatto ».
(m.pi. - f.v.)