il Fatto Quotidiano, 17 luglio 2015
Grecia, il bilancio di vincitori e vinti delle tre settimane passate da quando Alexis Tsipras ha rotto i negoziati per convocare un referendum sulla proposta dei creditori. Hollande ci guadagna in prestigio, Renzi è stato salvato dall’imbarazzo grazie alla dichiarazione del premier greco, la Merkel ha lavorato per un’Europa che rendesse più forte la Germania, la Lagarde si è dimostrata un partner poco affidabile, ma è Draghi il vero sconfitto: anche se ha dimostrato una flessibilità che i politici non hanno avuto, dal 2012 ha cercato di convincere i mercati che l’euro è «irreversibile» ma Tsipras, i tedeschi e l’Eurogruppo lo hanno sconfessato
Dopo l’approvazione nel Parlamento di Atene della richiesta del terzo pacchetto di aiuti e delle dure condizioni abbinate, la crisi della Grecia non è certo finita. Ma è arrivata a una di quelle svolte che permettono di fare un bilancio di vincitori e vinti delle tre settimane passate da quando Alexis Tsipras ha rotto i negoziati per convocare un referendum sulla proposta dei creditori.
ALEXIS TSIPRAS. I greci lo hanno votato a gennaio per mancanza di alternative. I suoi romantici sostenitori all’estero si sono convinti che il leader di un Paese dipendente dagli aiuti internazionali potesse cambiare le regole dell’Europa. Forse ci ha creduto perfino lui, ma non era plausibile. Tutta la strategia negoziale di Syriza si fondava su un ricatto: in caso di Grexit, cioè bancarotta e successiva uscita dall’euro, l’Europa e la Germania avrebbero sofferto più della Grecia stessa. Quando si è arrivati al dunque, Tsipras si è piegato, non sapremo mai se aveva ragione. La sua maggioranza politica è in frantumi, il sistema finanziario distrutto, la credibilità della Grecia come partner azzerata ma ha ottenuto un pacchetto di aiuti da 86 miliardi per tre anni e ha fatto passare nel dibattito l’idea che il debito greco va ristrutturato, possibilmente tagliato, che era uno dei punti chiave di Syriza. Di più la Grecia non poteva sperare di ottenere, ma i danni nel percorso verso l’obiettivo lasceranno cicatrici rilevanti. Il referendum su un accordo più morbido di quello poi accettato non è servito ad avere più forza negoziale e neppure a compattare il partito di Syriza. Tsipras può rimanere in carica ancora un po’, ma la sua carriera come leader è già finita.
MARIO DRAGHI. Ha fatto di tutto per rispettare lo statuto della Bce e, al contempo, mettere pressione sui leader perché si assumessero la responsabilità politica della gestione della Grecia. La sua scelta di ieri di aumentare la liquidità di emergenza al sistema bancario ellenico di 900 milioni, dopo averla congelata per settimane a 89 miliardi, dimostra una flessibilità che i politici non hanno avuto. Ma Draghi è anche il vero sconfitto: dal 2012 ha cercato di convincere i mercati che l’euro è “irreversibile”. Tsipras, i tedeschi e l’Eurogruppo lo hanno sconfessato, discutendo di una sospensione temporanea della Grecia dalla moneta unica. È un danno di credibilità cui la Bce non potrà rimediare.
CHRISTINE LAGARDE. Le mosse del Fondo monetario internazionale sono state a dir poco confuse. Prima si è chiamato fuori dalla gestione della crisi greca e Atene non ha rimborsato i suoi prestiti. Poi ha fatto di tutto per rientrarci, visto che la Lagarde teme che un Fmi non impegnato in Europa diventi soltanto uno strumento della Casa Bianca. Ma ha anche picconato la strategia di Commissione e Consiglio europei con documenti in cui chiedeva il taglio del debito greco – negato da Bruxelles – e ne prevedeva una dinamica molto più preoccupante di quella delineata dagli altri creditori. Di sicuro il Fmi è un partner sempre meno affidabile.
ANGELA MERKEL. Ha replicato la stessa linea che segue dall’inizio della crisi. Ha spinto i negoziati a un passo dal disastro, ha dimostrato di avere la leadership dell’Eurozona – anche se non più salda come una volta – e un attimo prima del collasso ha imposto un compromesso che oggi riuscirà a far votare senza problemi dal Bundestag, il Parlamento tedesco. Ed è anche riuscita, come al solito, a lasciare la parte del “poliziotto cattivo” al suo ministro delle Finanze Wolfgans Schauble. La Merkel non ha mai lavorato per un’Europa più forte, ma per un’Europa che rendesse la Germania più forte. Lo ha fatto anche in questa occasione.
FRANCOIS HOLLANDE. La crisi greca lo ha salvato dall’irrilevanza, si è schierato con Tsipras per dimostrare che in Europa esiste un contrappeso alla Germania. Ha lavorato per un accordo e contribuito a imporre il tema della ristrutturazione del debito. La Francia non ci guadagna nulla se non un po’ di prestigio, ma per un leader che in Europa si era distinto soltanto per la sua inconsistenza è già qualcosa.
MATTEO RENZI. La dichiarazione di Tsipras alla televisione greca secondo cui ha potuto contare su Francia, Italia e Cipro ha salvato il premier dall’imbarazzo di non poter citare un solo momento, un solo atto, una sola dichiarazione in cui la posizione italiana abbia avuto un peso in questa storia (tranne le dichiarazioni di amicizia e comunanza di vedute con Angela Merkel il primo luglio, a Berlino, nel pieno della campagna sul referendum greco).