Il Messaggero, 16 luglio 2015
Festa grande in Iran. Il 70% degli iraniani ha un’età inferiore ai 35 anni e sono loro, con una disoccupazione al 22 per cento, che hanno convinto Rohani a un’apertura. Ora hanno voglia di lusso e benessere e quei quattro milioni di emigrati all’estero ora pensano al ritorno. Così gli ayatollah si rinnovano, anche tramite il web
Le vaste folle che sono scese in strada a Teheran e in altre grandi città iraniane martedì sera per festeggiare l’accordo sul nucleare sono diventate il simbolo della vivacità e delle aspettative della società iraniana. Logorato da oltre un decennio di crisi con l’Occidente, ma intriso d’orgoglio patriottico e desideroso di un miglioramento della propria condizione economica, il popolo iraniano nutre grosse aspettative.
La società che ha accolto l’accordo di Vienna è assai diversa da quella che partecipò al rovesciamento dello Scià. Alla fine della Rivoluzione del 1979, l’Iran contava una popolazione di 35 milioni di abitanti, di cui almeno il 50% versava in stato d’analfabetismo. Oggi invece il Paese conta quasi 80 milioni di cittadini, di cui il 90% istruiti da un sistema educativo pubblico che ha ricevuto più volte il plauso dell’Onu. Il boom delle nascite ha creato una società dinamica. Almeno il 70% degli iraniani ha un’età inferiore ai 35 anni, dunque sono più giovani della Repubblica islamica stessa. Questa componente maggioritaria è foriera di importanti cambiamenti. Il tasso di crescita negativo dell’economia in anni recenti, dovuta alla sanzioni e al malgoverno, ha fatto salire notevolmente la disoccupazione giovanile, oggi stimata al 22%, un fattore che ha influito sul nuovo corso diplomatico di Rohani e Zarif.
I “MATRIMONI BIANCHI”
Ancorate per decenni alle proprie tradizioni islamiche, le autorità devono oggi confrontarsi con fenomeni “laici” come i cosiddetti “matrimoni bianchi” – la convivenza illecita tra coppie non sposate – e un numero sempre crescente di divorzi – centinaia al giorno – richiesti soprattutto da donne che si ribellano a matrimoni contratti contro la propria volontà o con troppa fretta. A lungo considerato un’onta e un tabù, il divorzio è oggi un aspetto sempre più ordinario della società, così come lo sono scelte stilistiche che pongono in secondo piano tradizioni come lo chador nero femminile.
LO SPIRITO RELIGIOSO
Prima di tornare alla capitale Teheran, il ministro degli Esteri Zarif ha virato il proprio aereo verso Mashad, città del nordest dell’Iran dove ha sede l’imponente mausoleo dell’Imam Reza, l’ottavo “santo” dello sciismo. Il caponegoziatore nucleare ha voluto così consolidare le proprie credenziali religiose, per rassicurare lo strato tuttora consistente della società ancorata ai dettami dell’Ayatollah Khomeini e ostile a qualsiasi ammorbidimento della linea dura contro il “Grande Satana” statunitense. Almeno un terzo della popolazione fa riferimento alle fazioni conservatrici e zelanti dell’elite.
Ma neppure i rami tradizionalisti della società sono del tutto avversi alla modernità. Gli otto anni della presidenza del “falco” Ahmadinejad hanno sancito l’introduzione della banda larga fissa e mobile, che viene utilizzata oggi da tutti per accedere a servizi di messaggistica, come Viber e Telegram, le cui interruzioni sporadiche sollevano casi politici di cui deve rispondere direttamente il ministro per le Telecomunicazioni. Pure gli Ayatollah più conservatori vantano siti web ben curati e applicazioni mobili con cui rimanere in contatto con il proprio “gregge”.
UN’AUTARCHIA APERTA
Nonostante il forte isolamento economico-finanziario durante la crisi nucleare, l’Iran non ha mai adottato una chiusura ermetica in stile Corea del Nord. L’altissimo livello di istruzione e la presenza di atenei nelle zone più sparse hanno propiziato la rapida espansione digitale e la connessione a Internet, seppure sotto la cappa del filtro statale, di gran parte della popolazione. Il ruolo di Dubai come snodo per l’importazione di beni dal valore di almeno venti miliardi di dollari annui ha assicurato la disponibilità della più recente tecnologia.
Pur esenti dai circuiti internazionali, le banche iraniane vantano una discreta modernizzazione e la Borsa di Teheran ha una capitalizzazione da oltre 100 miliardi di dollari e quotazioni per almeno 340 società che coprono tutti i settori dell’economia, diventando così una meta ambita per capitali stranieri.
CERVELLI DI QUALITÀ
Le varie crisi politico-economiche dal 1979 in poi hanno causato espatri di massa. Secondo stime ufficiali, vi sarebbero almeno quattro milioni di iraniani all’estero, la metà dei quali in Nord America. I migliori atenei iraniani, come il Politecnico Amir Kabir o l’Università tecnologica Sharif, sfornano regolarmente studenti contesi dalle massime università americane ed europee, che fanno leva sulla passione per le materie scientifiche, un fattore che ha contribuito alla popolarità di un programma atomico visto come simbolo di progresso. Tra le laureande – che compongono da tempo almeno il 60% del totale – spiccano figure come Maryam Mirzakhani, oggi a Stanford e prima donna in assoluto a vincere la Medaglia Fields, il Nobel della matematica.
Negli ultimi tempi le nuove generazioni cresciute negli epicentri dell’emigrazione come Los Angeles e Toronto strizzano sempre di più l’occhio alla terra degli avi. Dai gestori di fondi d’investimento che sono tornati dalla City di Londra ai creativi che hanno lasciato le grandi corporazioni di Silicon Valley per fondare la propria startup a Teheran, l’Iran potrebbe finalmente arginare la sua famigerata fuga dei cervelli. Conscio di queste profonde trasformazioni sociali, il governo Rohani si è fatto progressivamente carico della voglia di benessere e di distensione con la comunità internazionale che potrebbe finalmente generare un nuovo, duraturo capitolo nei rapporti spesso turbolenti tra l’Iran e l’Occidente.