Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  luglio 16 Giovedì calendario

La strage della Lega Pro, 75 club scomparsi per problemi economici dal 2008 all’altro ieri. Schiacciati dai costi, penalizzati da ricavi sempre troppo esigui e da un sistema-calcio assorbito quasi per intero dalla A. In morte al calcio professionistico di provincia

C’è un’Italia che, poco alla volta, muore. È quella del calcio professionistico di provincia. Al netto di poche, splendide eccezioni che si chiamano Udinese, Atalanta, Empoli e ora Carpi e Frosinone, realtà di Serie A con un occhio sempre molto attento ai conti, c’è un’intera categoria che da troppi anni boccheggia e ogni estate miete vittime. Si chiamava Serie C, dal 2008 è diventata Lega Pro ma la rinfrescata è stata soltanto nelle formule, in continua e forzata evoluzione, e nel nome.

Di male in peggio
Da allora, se possibile, la situazione è persino peggiorata. Schiacciati dai costi, penalizzati da ricavi sempre troppo esigui e da un sistema-calcio assorbito quasi per intero dalla A (con poche briciole alla B), i club di C convivevano con l’incubo di non farcela ad andare avanti. E qualcuno, ogni stagione, spariva. Siamo alla strage, ormai: 75 società scomparse per problemi economici dal 2008 all’altro ieri, quando se ne sono andate anche Reggina, Varese e Venezia, nomi e colori che hanno scritto pagine di storia anche in A, nemmeno troppo tempo fa. Prima di loro, a questo giro di macabra danza avevano già rinunciato in cinque. A poco è servita la riforma del torneo, la riduzione progressiva della categoria da 90 a 60 squadre, il tetto alle rose, l’incentivo all’impiego dei giovani, il torneo unico. Ci sono sempre troppi club, in coda al nostro sistema professionistico. E spendono sempre troppo (4,2 milioni di euro in media nel 2012/2013, riferimento dell’ultimo Report federale) per quel che incassano (3,1 milioni).
Perdere la B, un dramma
I conti sono presto fatti. È facile inabissarsi, con questi fardelli a bilancio. Batoste che capitano soprattutto a chi è costretto a lasciare la B. Perché se è vero che retrocedere dalla A, perdendo fior di diritti tv, è un vero disastro, scivolare in Lega Pro può addirittura essere una condanna a morte. Dal 2008 al 2011, tanto per intenderci, Spezia, Avellino, Pisa, Treviso, Gallipoli e Mantova sono sprofondate in un solo colpo dai cadetti ai dilettanti, mentre Ravenna, Rimini, Salernitana, Piacenza, Portogruaro e Triestina sono durate al massimo due stagioni prima della rifondazione partendo dai sotterranei.
Ripartono in pochi
Fallimento, rinuncia, radiazione, fideiussioni mancanti. Il vocabolario ai tempi della crisi è sempre quello. Come identico è l’iter seguito da chi sparisce ma poi, con la spinta del «campanile» e di quei piccoli centri che non possono proprio restare senza calcio, riesce a risollevarsi. Siccome, però, i problemi sono sempre gli stessi, capita allora che qualcuno ci ricaschi. Negli ultimi anni, ad esempio, Lucchese, Treviso e Sambenedettese hanno perso il posto in Lega Pro causa default per due volte ciascuna. Le prime due stanno tra le 17 fallite del grafico qui accanto con un passato in A. Tra di loro c’è anche chi ha saputo ripartire col piede giusto: Avellino, Perugia e Salernitana si sono riprese almeno la B. Casi rari.
Punti in meno, se va bene 
Ben più ampio è il ventaglio, da Nord a Sud con la sola eccezione di Val d’Aosta e Trentino che però sono piccole e senza tradizioni, di chi sparisce e poi s’incaglia. E sono molti, troppi, i club che evitano la retrocessione a tavolino ma pagano i loro stenti e gli stipendi non saldati con punti di penalizzazioni. Nell’ultima Lega Pro, sono stati ben 44. Non un bel modo di scrivere le classifiche. La storia recente dice che così non si può andare avanti: 60 club sono troppi, specie se sopra ci sono i 42 di A e B. Servirebbe un altro ribaltone, ancora più sostanziale: più controlli, più giovani in campo, meno spese. Stadi semivuoti, sponsor modesti e diritti tv di fatto inesistenti non possono mantenere un carrozzone del genere.