la Repubblica, 16 luglio 2015
Iran, «l’unica altra alternativa sarebbe stata una guerra». Parola di Obama. Pur riconoscendo le «legittime preoccupazioni» di Israele, il presidente americano difende il suo compromesso, parla di una svolta epocale, della sorprendente collaborazione con la Russia («viste le differenze sull’Ucraina), si paragona a Reagan e Nixon («Sono in disaccordo con loro ma, all’epoca hanno avuto la capacità di capire che c’era una possibilità per un accordo con la Cina») e poi sottolinea: «I nostri alleati non sono paranoici, l’Iran si è sempre comportato in maniera pericolosa. Ma dobbiamo tenere d’occhio l’obiettivo». Comunque «se violano gli accordi, le sanzioni saranno reimposte in pieno»
Una critica le è stata rivolta da più parti. C’erano sei superpotenze al tavolo dei negoziati mentre l’Iran era solo dall’altro lato. Possibile che l’unica cosa che abbiamo ottenuto sia stato impedire all’Iran di diventare una potenza nucleare nei prossimi 10 anni senza riuscire a eliminare totalmente le sue infrastrutture nucleari?
«Le critiche sono fuorvianti. Valutiamo cosa abbiamo ottenuto. Abbiamo chiuso ogni possibilità all’Iran per sviluppare armi nucleari. E la ragione per cui siamo riusciti ad unificare la comunità internazionale intorno a un sistema di sanzioni efficacissimo, che ha piegato l’economia iraniana portandolo al tavolo dei negoziati, è averli convinti che permettere all’Iran di possedere l’arma nucleare era un pericolo per tutti. Non avremmo avuto quell’ampio consenso sul concetto che l’Iran non poteva avere nessun tipo di programma nucleare. Come membro del Trattato di non proliferazione l’Iran ha d’altronde sempre sostenuto di avere diritto a un programma nucleare pacifico. Abbiamo però potuto dirgli: dato il vostro passato, le prove che avete tentato di militarizzare il programma nucleare, le attività destabilizzanti in cui vi siete impegnati in sostegno del terrorismo, non possiamo darvi fiducia quando dite che lavorate a un nucleare pacifico. Dovete provarlo. Il sistema che abbiamo creato, infatti, non è basato sulla fiducia ma su un meccanismo di verifiche. Capace di assicurare che l’Iran non costruirà armi nucleari. Questo è l’assunto su cui abbiamo costruito il consenso internazionale alle sanzioni».
Fin dall’inizio Lei ha guardato all’Iran come a un Paese con una grande civiltà e un enorme potenziale umano che l’ha spinta a cambiare approccio rispetto alla politica portata avanti finora. Un po’ quello che ha fatto con Cuba. Perché pensa che questo accordo può aprire a nuove possibilità?
«Iran e Cuba sono diverse. Cuba è un paese piccolo a 90 miglia da noi che non rappresenta una minaccia verso di noi no verso i nostri alleati. La nostra preoccupazione lì è assicurare un cambiamento che nel tempo permetta ai cubani di essere liberi. L’Iran è una grande civiltà, ma è anche una teocrazia autoritaria antiamericana, antisraeliana, antisemita, sponsor del terrorismo. Le profonde differenze che ci distinguono ci hanno portato a porci qui un obiettivo modesto. Assicurarci che l’Iran non entri in possesso di un’arma nucleare. Quello che credo, poi, è che ci siano tensioni all’interno dell’Iran. Dove gli oppositori dell’accordo, quelli per la linea dura, sono quelli che più hanno investito nello sponsorizzare il terrorismo, coloro che sono più virulenti nel loro antiamericanismo e nelle loro posizioni antisraeliane. Dobbiamo capire che chi è per la linea dura sta investendo su uno status quo dove l’Iran è isolato e loro sono potenti, l’unica alternativa possibile. Una situazione aperta, dove hai una base nuova, di imprenditori, di commercianti all’interno dell’Iran può cambiare quel che gli iraniani pensano di queste attività destabilizanti in termini di costi e benefici. Mi colpisce però che nelle ultime settimane le critiche si stiano spostando dall’accordo nucleare alle affermazioni che se anche l’accordo funziona questo significherà solo dar sollievo a un’economia che presto avrà più soldi da investire in attività terroristiche. Ebbene, è una possibilità. Non possiamo abbassare la guardia. Dobbiamo continuare a lavorare con i nostri alleati, i paesi del Golfo e Israele, per fermare il lavoro che l’Iran sta facendo al di fuori del programma nucleare. Ma il punto qui è che se avessero armi nucleari sarebbe tutto differente. Su questo punto stiamo raggiungendo il nostro obiettivo».
Netanyahu ha chiamato l’accordo un “errore storico”. Voi vi siete parlati stamattina: cosa gli ha detto? E cosa vorrebbe dire agli israeliani? Cosa non capiscono?
«Quel che ho detto a Netanyahu è quel che dico pubblicamente. Sarebbe bello se l’Iran si trasformasse improvvisamente in una liberaldemocrazia che abbraccia buone relazioni con Israele e Stati Uniti. Non è così, e questa è la nostra migliore opzione per accertarci che nei prossimi 10 anni e anche oltre, avremo un sistema di ispezioni che ci assicuri che non stanno realizzando armi nucleari. Questo vale molto in termini di sicurezza nazionale, la nostra, quella di Israele e quella dei nostri alleati nella regione. Previene il rischio di una corsa nucleare in quell’area. Ora è anche vero che con questo accordo loro non si sono certo impegnati a fermare altre attività che riteniamo pericolose. Dovremo continuare a fare pressioni e a stare all’erta. Ma non ci sono prove, né esperti in grado di sostenere che saremmo riusciti a farli capitolare spingendo al massimo le sanzioni. Semmai è vero il contrario, senza questo accordo avrebbero probabilmente realizzato l’atomica. L’unica altra alternativa sarebbe stata una soluzione militare, scelta non facile. Certo Netanyahu avrebbe preferito che l’Iran non avesse nessuna capacità nucleare. Ma il punto del negoziato non è mai stato se l’Iran avesse o meno la capacità tecnica di fare la bomba quanto impedirgli con il consenso internazionale di essere nelle condizioni di realizzarla. Ora abbiamo lo strumento per farlo. Fra 15 anni la persona che sarà al mio posto, repubblicano o democratico che sia, non solo avrà le nostre stesse capacità di imporre sanzioni o ricorrere ad azioni militari, ma avrà miglior conoscenza di quello che accade all’interno delle centrali iraniane e sarà in una miglior posizione, avrà più legittimità, nel caso di dover passare all’azione perché l’Iran viola gli accordi».
Può darci qualche dettaglio su quale strategia metterete in campo se ci fossero incomprensioni?
«Naturalmente non è questa la sede per dare dettagli anche se ci stiamo lavorando. Voglio sottolineare che la gente ha ragione ad avere paura dell’Iran. Hezbollah ha migliaia di missili puntati verso Israele E sono altrettanto sensate le preoccupazioni dei paesi del Golfo rispetto ai tentativi iraniani di destabilizzare la ragione. I nostri alleati non sono paranoici, l’Iran si è sempre comportato in maniera pericolosa. Ma dobbiamo tenere d’occhio l’obiettivo. E ricordiamoci che non siamo stati solo noi a portare il peso di queste sanzioni: c’è la Cina, il Giappone, la Corea del Sud, l’India. Tutti coloro che avevano rapporti con l’Iran e si sono trovati in una situazione che gli è costata migliaia di dollari pur di sostenere le sanzioni. Gli Usa hanno semmai pagato il prezzo più basso perché già da tempo non facevamo affari con l’Iran. Il motivo per cui questi paesi hanno fatto importanti sacrifici è perché siamo stati capaci di persuaderli che l’unico modo per risolvere il problema era rendere le sanzioni efficaci. Se ci fossimo allontanati da quelli che gli esperti tecnici dicono essere il meccanismo che ci assicura che l’Iran non avrà armi nucleari avrebbero pensato che non eravamo sinceri, che non volevamo vagliare il programma nucleare iraniano ma punire l’Iran per disaccordi precedenti. E le sanzioni non avrebbero tenuto».
Cosa vorrebbe dire alla maggioranza silenziosa iraniana, e cosa spera per loro?
«Questa è una opportunità storica. La loro economia deteriorata delle sanzioni ora può fare passi decisi e avere relazioni costruttive con la comunità internazionali. I loro leader hanno bisogno di vedere questa opportunità. E poi che l’Iran aspira e dovrebbe essere un vero potere regionale. È il paese più grande e sofisticato dell’area. Non ha bisogno di attirarsi l’ostilità dei vicini con i suoi comportamenti. Poi, se gli iraniani avranno l’influenza sufficiente per spingere i loro leader a una svolta solo il tempo lo dirà. Ma ripeto, non misuriamo questo accordo sulla base alla sua capacità di cambiare il regime in Iran, né su quella di risolvere ogni problema che possiamo avere con loro. Non eliminerà tutte le loro scellerate attività nel mondo. Misuriamo per la sua capacità di impedire all’Iran di avere l’atomica».
Gli israeliani dicono che lei semplicemente non capisce il diavolo. E che quella gente è il diavolo...
«Io sono molto diverso da Ronald Reagan. Ma lo ammiro per aver avuto la capacità di riconoscere che se c’era la possibilità di un accordo verificabile con l’impero del male, quello che perseguiva la nostra distruzione e poneva una minaccia ben maggiore dell’Iran, allora ne valeva la pena. Su molti punti ero in disaccordo anche con Nixon. Ma lui capì che c’era la possibilità che la Cina prendesse una strada diversa.
Queste strade vanno tentate fintanto che preserviamo la nostra capacità di sicurezza, la nostra capacità di rispondere con la forza, militarmente dove necessario per proteggere i nostri alleati e amici. È un rischio che dobbiamo prendere. Una posizione pratica, di buon senso. Tutt’altro che ingenua».
L’Iran ha tradito diverse volte le aspettative. Come facciamo a sapere che questa volta non sia così?
«Come parte dei negoziati abbiamo fissato quella che chiamiamo risposta secca. Se violano gli accordi, le sanzioni saranno reimposte in pieno. L’Iran sa cosa ci si aspetta da loro e quali saranno le conseguenze. Sa che possiamo rispondere in maniera legale e con l’appoggio internazionale ».
Non avremmo potuto costruire l’accordo senza la Russia...
«La Russia è stata d’aiuto e ne sono stato sorpreso viste le differenze sull’Ucraina. Putin e il governo russo hanno distinto gli ambiti e permesso un accordo impossibile senza la loro volontà di stare con noi e gli altri Paesi del 5+1 nell’insistere per un accordo forte. Sono incoraggiato dal fatto che Putin mi abbia chiamato un paio di settimane fa per parlare di Siria. Credo stia realizzando che il regime di Assad sta perdendo presa su sempre più aree e che le prospettive di una acquisizione o rotta del regime siriano diventa una minaccia sempre più concreta. Questo ci offre l’opportunità di avere una conversazione seria con loro. Di sicuro parte del nostro obiettivo qui era dimostrare che la diplomazia può funzionare. Non è perfetta, non ci dà tutto quello che vogliamo ma solo attraverso la diplomazia possiamo spingere per un modo migliore di risolvere problemi».