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 2015  luglio 15 Mercoledì calendario

I quarant’anni di Frankenstein Junior. Uscito nelle sale italiane il 18 luglio 1975, il film risiede ancora stabilmente nel nostro immaginario. Tra “lupo ululà e castello ululì”, “si pronuncia Frankenstin” e, ovviamente, “Blücher!” con i nitriti annessi, s’è conquistato sullo scaffale il primato: è il titolo più venduto nella storia dell’homevideo italiano

Da quel fatale giorno in cui fetidi pezzi di melma fuoriuscirono dalle acque ed urlarono alle fredde stelle: ‘Io sono l’uomo!’, il nostro grande terrore è stato sempre la conoscenza della nostra mortalità”: avete già capito, e come altrimenti? Un successo colossale, un successo lungo 40 anni: uscito nelle sale italiane il 18 luglio 1975, Frankenstein Junior risiede ancora stabilmente nel nostro immaginario. Tra “lupo ululà e castello ululì”, “si pronuncia Frankenstin” e, ovviamente, “Blücher!” con i nitriti annessi, s’è conquistato sul campo, pardon, sullo scaffale il primato: è il titolo più venduto nella storia dell’homevideo italiano. Quasi commovente.
Era un altro cinema, ed era un film come nessun altro, nonostante esibisse l’eredità sin dal titolo: Frankenstein Junior è divenuto un cult, soprattutto per noi, che fummo il suo secondo mercato dopo gli Usa. Paradossale, Frederick Frankenst(e)in si lamentava nel sonno: “Il destino è quel che è, non c’è scampo più per me!”, ma le sorti del film furono e sono magnifiche e progressive: non se ne va dalla memoria, torna nelle nostre battute, ha contribuito a donare imperitura fama ai suoi demiurghi, Gene Wilder e Mel Brooks. Se non l’avete in Blu-ray o dvd, ritrovarlo in televisione è ancora una gioia inaspettata, come quella che Mel aprì sul viso di Gene lustri e lustri orsono: “Ci sono novità per te, ragazzo ebreo: ora s’incomincia a lavorare”. Si vedevano ogni sera, e dopo il caffè discutevano sulla scrittura dell’indomani: “NON C’È UN CATTIVO! Capisci quel che dico? DOBBIAMO TROVARE UN CATTIVO! Altrimenti non c’è tensione nella storia”. Lo ricorda Gene Wilder nella sua splendida autobiografia, Kiss Me Like A Stranger, che ora ritorna in libreria per i tipi di Sagoma con un ironico titolo da tutorial, Come lo feci, e la prefazione di Francesco Alò.
Igor, Inga, il Dottor Frankenst(e)in, Frau Blücher, la Creatura: la magia di questi e altri personaggi, la capacità di non svilire l’originale di Mary Shelley, la volontà di innovare il Frankenstein – e La moglie di Frankenstein – di James Whale del 1931 con cura filologica (gli stessi attrezzi di scena, per dire), quante belle cose è Frankenstein Junior? Per Wilder, ideatore, sceneggiatore e interprete di Frederick, “è stata l’esperienza più divertente della mia carriera cinematografica. Madeline Kahn, Peter Boyle, Marty Feldman, Teri Garr, Cloris Leachman, Kenny Mars… e Mel alla regia. Fu come respirare una boccata di paradiso ogni giorno”.
E noi con lui, a pieni polmoni e occhi sbarrati: il capolavoro di Brooks, un vertice del cinema comico di sempre, una non-parodia destinata a farsi classico, eppure, c’è chi l’ha migliorata. Noi, noi italiani, grazie all’adattamento dei dialoghi e al conseguente doppiaggio: il nome buono è Mario Maldesi, che firmò la versione italiana (con il predecessore Roberto De Leonardis) e diresse il doppiaggio, il segreto è una traduzione linguistica e culturale insieme. Giochi di parole non traslabili, assonanze non riportabili? No problem: si ri-creò, si fece di testa – e lingua – nostra, riuscendo nell’impresa di affinare la versione primigenia, complici le ugole divertite e divertenti di Oreste Lionello (Frankenstein), Roberto Villa (Barone Victor von Frankenstein), Massimo Foschi (la creatura) e Gianni Bonagura (Igor). Là dove c’erano lupi (wolf) e lupi mannari (werewolf), noi trovammo lupo ululà e castello ululì, dove si dibatteva tra seda-give e seda-tive scoprimmo seda-davo e seda-tivo. Abbiamo i doppiatori migliori, ma il doppiaggio fa bene al cinema? Tra le (sparute) ragioni del sì, Frankenstein Junior è la prevalente: è caso ancora dibattuto, fa scrivere tesi di laurea, gonfia i cuori cinefili.
Su YouTube i confronti originale/doppiato si sprecano, le scene tagliate (reintegrate nel Blu-ray) affiorano, il buzz non si spegne: un cult lo esige. E vuole gli aneddoti, a pioggia: “L’ultimo giorno delle riprese, durante la pausa pranzo, ero seduto nella stanza da letto sul set di Frankenstein e guardavo il finto caminetto. Mel entrò e mi vide. ‘Che succede? Perché sei così triste?’ mi chiese. ‘Non voglio lasciare la Transilvania’”. Gene però l’ha lasciata a noi, la Transilvania, e ancor prima alla 20th Century Fox: lo studio finanziò e si assicurò il film per tre milioni, scippandolo alla Columbia, ferma a un milione e 750mila dollari. Dreams that money can buy, una volta tanto.