Libero, 14 luglio 2015
L’energia ci regala un’estate di sconti. I prezzi di gas, elettricità e benzina sono attesi in calo. L’Iran immetterà il greggio bloccato dall’embargo. L’Arabia Saudita alza la produzione, mentre il Messico apre al mercato. Il barile potrebbe arrivare sotto i 50 dollari. Intanto lo shale gas supera il carbone nelle forniture alle centrali
Altro che Grecia. Se ci sono volute le 17 ore abbondanti per raggiungere l’accordo su Atene, l’ultimo round tra Iran e la squadra “5+1” (i membri del consiglio di sicurezza Onu più la Germania) è durato 14 giorni di fila, record assoluto se si eccettua il tour de force di Henry Kissinger nel 1974 che sfociò nell’accordo di pace tra Israele ed Egitto. Ne valeva senz’altro la pena, per mille e una ragione, geopolitica ed economica. Non ultima, l’impatto sul mercato petrolifero al centro di una serie di novità che lasciano prevedere un’estate di ribassi, all’insegna di prezzi in calo. Da Merrill Lunch a Commerbank si moltiplicano le previsioni che prevedono il calo del barile sotto i 50 dollari entro l’estate contro l’attuale prezzo di 58 dollari del Brent (52,3 il Wti americano). Vediamo perché:
1. Grazie all’intesa, infatti, Teheran potrà immettere sul mercato il greggio finora bloccato dall’embargo imposto alla repubblica degli ayatollah. Ci vorrà tempo perché la macchina produttiva, vecchia e senza le tecnologie più moderne, possa esprimere la sua forza. Ma fin d’ora è legittimo prevedere che l’Iran potrà immettere sul mercato 200 mila barili di greggio che vanno ad aggiungersi ai 2,6 milioni di barili che oggi rappresentano l’eccesso di produzione rispetto ad una domanda in calo.
2. A complicare il quadro contribuisce l’offensiva dell’Arabia Saudita. Ieri è stato comunicato che la produzione di giugno del regno è salita ad un nuovo record: 10,6 milioni di barili al giorno, davanti a Stati Uniti (10,5 milioni) e Russia (9,7 milioni) che però destinano buona parte della produzione ai consumi interni. L’Arabia Saudita, al contrario, condiziona il mercato mondiale con la sua decisione di spingere i prezzi al ribasso per metter fuori gioco i produttori dello shale oil americano. Senza badare, per ora, alle conseguenze sul bilancio: per la prima volta da tempo immemorabile Riyad ha fatto ricorso all’emissione di un bond, 4 miliardi di dollari, per sostenere le spese pubbliche.
3. Queste mosse coincidono con una data storica: domani, 15 luglio, il Messico metterà all’asta le concessioni petrolifere, chiudendo una volta per tutte la storia del monopolio pubblico di Pemex. Comincia una stagione di vendite di dimensioni impressionanti: tra giacimenti sulla terra e nelle acque del Golfo del Messico il potenziale si aggira sui 107,5 miliardi di barili. Al primo dei numerosi round di offerte partecipano 34 compagnie (11 da sole, le altre inserite in consorzi) che, secondo le attese del presidente Enrique Pena Nieto, investiranno di qui al 2018 circa 50 miliardi. L’anno prossimo il piano dovrebbe accelerare con l’offerta dei lotti sottomarini più promettenti. Ma il condizionale è d’obbligo: la crisi dei prezzi potrebbe rallentare il processo, così come le garanzie ambientali richieste. Memore del disastro Bp, il Messico chiede alle compagnie una cauzione storica: 6 miliardi di dollari a fronte di eventuali disastri.
4. Intanto, il calo dei prezzi provoca le prime conseguenze. Lo shale gas, in calo di prezzo, ha sorpassato per la prima volta il carbone nella fornitura delle centrali elettriche. Intanto gli analisti del mercato di Chicago prevedono fortissimi ribassi di prezzo del greggio Usa per effetto dei derivati finanziari trattati sui mercati: molti produttori saranno costretti a vendere in perdita perché stanno per arrivare a scadenza i derivati stipulati per proteggersi dal calo dei prezzi: non ci sono più i soldi per prorogare i paracadute.
5. Tanti fattori, non ultimo la scelta dei Paesi sconvolti dalle guerre (vedi Iraq e Libia) di estrarre greggio al massimo regime, lasciano prevedere un’estate di energia a basso costo. Con effetti molto rilevanti, soprattutto in quei Paesi come gli Usa ove i governi non usano il pieno di benzina come un bancomat per i bilanci pubblici a cui ricorrere senza limiti. Secondo la Fed questo consentirà di rilanciare i consumi delle famiglie americane grazie ad un risparmio di alcune centinaia di dollari. Consoliamoci: anche in Italia il pieno costerà (poco) meno.