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 2015  luglio 14 Martedì calendario

Il contro-piano di Israele sul nucleare iraniano. Offensiva sul Congresso per far bocciare il piano. Netanyahu prepara la “campagna americana” per convincere i democratici a mollare Obama

Moniti sulle atomiche iraniane in arrivo, critiche alle grandi potenze «disposte ad accettare qualsiasi umiliazione», determinazione a difendersi «anche da soli se sarà necessario» e twitter in persiano: Benjamin Netanyahu è il regista di un’offensiva politica che guarda al dopo-accordo sull’Iran, puntando sul Congresso di Washington per affondarlo.
Davanti a un negoziato di Vienna quasi concluso, la scelta del premier israeliano è di comportarsi come se fosse stato già firmato, lanciando una raffica di messaggi destinati anzitutto al pubblico americano ovvero a senatori e deputati di Capitol Hill che potrebbero bocciarlo, superando anche l’eventuale veto del presidente Barack Obama. Netanyahu definisce la bozza in discussione a Vienna «un’intesa che consentirà all’Iran di avere molti ordigni nucleari» e descrive le potenze occidentali «inclini ad accettare ogni condizione e umiliazione» pur di arrivare alla sigla di un «pessimo accordo» che consentirà a Teheran, secondo fonti israeliane, di ottenere grazie all’abolizione delle sanzioni «almeno cento miliardi di dollari» destinati a rafforzare gli arsenali di Hezbollah, Hamas e altri gruppi terroristici «che minacciano noi, la regione e il mondo intero».
«Ci difenderemo da soli»
Ecco perché il ministro della Difesa, Moshe Yaalon, risponde alle indiscrezioni sull’intesa imminente facendo presente che «Israele deve essere pronto a difendersi da solo» se l’Iran riuscirà a diventare una potenza nucleare. I portavoce di Gerusalemme sottolineano le «bandiere israeliane e americane bruciate a Teheran in questi giorni di negoziati a Vienna» e le frasi dei leader iraniani che «continuano a parlare della cancellazione di Israele dalla carta geografia» per suggellare un clima che vede lo Stato ebraico destinato a essere in prima linea davanti agli ayatollah dotati del nucleare, non solo civile ma militare. Yuval Steinitz, ministro dell’Energia e consigliere strategico di Netanyahu, offre la chiave di lettura di tale offensiva di «Public Diplomacy»: «Siamo in grado di cambiare l’orientamento del pubblico americano, spingendolo a rigettare il pessimo accordo che uscirà da questi negoziati».
Il riferimento è alla battaglia che incombe al Congresso di Washington dove 435 deputati e 100 senatori saranno chiamati ad esprimersi sull’eventuale accordo nell’arco di 60 giorni dalla firma. In entrambi i rami di Capitol Hill l’opposizione repubblicana ha la maggioranza ma per annullare il prevedibile veto di Obama a difesa dell’accordo servirà, tanto alla Camera che al Senato, una maggioranza qualificata dei due terzi. Ciò significa che un numero importante di democratici dovrebbe voltare le spalle al presidente ma poiché si voterà «forse a metà settembre», come prevede Steinitz, ovvero a 14 mesi dall’Election Day 2016, deputati e senatori democratici potrebbero essere tentati di ascoltare più l’orientamento dei propri elettori – in gran parte ostili all’Iran – che un Presidente arrivato ad termine del secondo mandato.
La carta Hillary Clinton
Lo scetticismo di Hillary Clinton, favorita nella corsa alla nomination democratica, sul negoziato nucleare con l’Iran è un altro tassello: quando l’ex First Lady dice che il negoziato nucleare «non risolve i maggiori problemi» perché l’Iran resta comunque «una minaccia esistenziale per Israele» suggerisce un approccio diverso a quello di Obama che potrebbe pesare sul voti di alcuni, decisivi, senatori. È uno scenario che consente a Netanyahu, veterano della politica dentro la Beltway, di sperare di ottenere dal Congresso il blocco della «pessima intesa» che sta nascendo a Vienna.
Proprio questa «offensiva americana» di Netanyahu spiega il debutto dell’account Twitter in persiano per rivolgersi agli iraniani avvertendoli che «se il regime incasserà l’accordo avrà più fondi per la repressione interna». Attorno al «no a Vienna» Netanyahu ridefinisce la posizione di Israele nella regione, puntando a diventare il punto di riferimento di ogni tipo di opposizione al regime degli ayatollah. Sperando in questa maniera di consolidare ancor più il rapporto con le potenze regionali sunnite intimorite degli sciiti – a cominciare da Arabia Saudita, Emirati Arabi ed Egitto – per ridisegnare gli equilibri strategici in Medio Oriente.