la Repubblica, 14 luglio 2015
«Ho un piccolo tumore al testicolo sinistro». Così Ivan Basso ha comunicato il suo addio al Tour. «Nella tappa di Amiens sono caduto, un testicolo ha sbattuto contro la sella, succede. Ma continuavo a sentire un dolore. Allora ho fatto esami specifici e sfortunatamente la diagnosi era questa». La notizia ha scosso il Tour, lo ha commosso, ha allontanato le teste dei corridori dai rapporti da usare oggi salendo verso La Pierre-Saint-Martin e dai piani di classifica
«I have a small cancer in the left testicule». Ivan Basso ha la faccia serena mentre, in una breve conferenza-stampa in inglese in una sala dell’Hotel Mercure, dove alloggiano Saxo, Movistar e Lampre, annuncia che sta lasciando il Tour per una ragione molto seria: un tumore. Ci arriva per gradi, fa la cronistoria. «Nella tappa di Amiens sono caduto, senza gravi danni. Un testicolo ha sbattuto contro la sella, succede spesso quando si cade. Continuavo a sentire un dolore al testicolo. Stamattina all’ospedale di Pau ho fatto esami specifici da un urologo famoso e sfortunatamente la diagnosi era questa. Ora torno in italia e mi farò operare il prima possibile. E spero che tutto vada bene. Intanto, faccio gli auguri al mio grande capitano (e batte una mano sulla spalla di Contador, seduto al suo fianco, un Contador con gli occhi lucidi) e mando un saluto al gruppo, agli organizzatori del Tour e un ringraziamento particolare allo staff medico».
La notizia, circolata intorno alle 14, ha scosso il Tour, lo ha commosso, ha allontanato le teste dei corridori dai rapporti da usare oggi salendo verso La Pierre-Saint-Martin e dai piani di classifica. La conferenza- stampa di Nibali è partita da Basso: «Sono cresciuto con lui alla Liquigas, Ivan è un amico più che un collega, anche in questo Tour ci siamo parlati in gruppo. Posso solo fargli tanti auguri, mi sono informato e non sembra un caso grave, anche se la parola fa sempre paura. Ora Ivan ha bisogno di avere vicino altre persone, gli telefonerò tra qualche giorno».
Uno dei primi tweet da Lance Armstrong: «Auguro il meglio a Ivan, arrivato nel regno del cancro». Sono molto amici, Basso e Armstrong. Il messaggio del texano suona quasi cinico ma, nelle intenzioni, penso sia da intendere come virile incoraggiamento, qualcosa come «guarda che ci sono passato anch’io, sono guarito e ho vinto sette Tour». Che poi gli sono stati tolti, per le note vicende di doping. Che è al centro di richieste di risarcimento (in milioni di dollari) dagli sponsor di quegli anni. Che aveva già fissato il suo ritorno sulle strade di Francia: il 16 e 17 luglio, ai margini del Tour, in appoggio a un’associazione francese che raccoglie fondi contro la leucemia.
Quando Basso vinse a La Mongie, nel 2004, dedicò la vittoria a sua madre Nives, che era malata. Armstrong che vedeva in Basso il suo successore, gli mise spontaneamente a disposizione tutte le sue conoscenze, medici specializzati nel campo dei tumori. Non servì, la madre morì a 49 anni. Armstrong quegli specialisti li aveva conosciuti quando lo stesso cancro di Basso lo aveva colpito nello stesso punto. Era l’ottobre del ‘96. Aveva 50 possibilità su 100 di cavarsela. Quelle di Basso sono superiori al 90%. E il “prima possibile” sull’intervento chirurgico può essere oggi, a Milano.
Su Twitter lo hanno incoraggiato decine di colleghi che sono in corsa al Tour, e altri impegnati altrove e altri che hanno smesso. Li cito alla rinfusa. Axel Merckx, Ulissi, Visconti, Mc Ewen, Krujiswijk, Cimolai, Pozzato, Cavendish, Moreno Moser, Rogers, Viviani, Van Avermaet, la Movistar in blocco, Bodnar, Kreuziger, Chicchi, Zubeldia, Agnoli, Kwiatkowski, Bennati, Sastre, Formolo, Vandevelde, Westra, Intxausti, Markel Irizar della Trek («Ivan, guarirai come sono guarito io 13 anni fa»). E Contador («Forza amico mio. Ci rivediamo a Parigi»). Ma Contador aveva già parlato quand’era seduto a fianco di Basso, una mano sulla spalla: «Degli ultimi 180 giorni 120 li abbiamo passati insieme, da compagni di squadra e di camera. Ivan è un campione, vincerà lui». A tutti la risposta di Basso su Facebook: «Ciao. Quello che sta succedendo lo sapete già. Quello che tenevo a dirvi è che affronterò questa prova con la grinta di sempre e con la positività che mi avete trasmesso con tutti i vostri messaggi. Amo il ciclismo, che mi ha dato tanto e mi ha insegnato a stringere i denti quando c’è da lottare». Poi evoca la forza che gli dà la sua famiglia, il tifo che farà per Contador e chiude con un «grazie a tutti».
Anche in un momento molto difficile, Ivan conferma la sua naturale eleganza, quella che lo faceva sembrare un corridore diverso. Ha quasi 38 anni, dal ciclismo non riesce a staccarsi, in questo Tour fa il vero gregario, quello che porta l’acqua, come l’aveva fatto per Nibali al Giro. Una carriera di alti e bassi: terzo nel 2004 dietro Armstrong e Kloeden, secondo nel 2005 a 4’40” da Armstrong. Vince il Giro del 2006 e poi scoppia lo scandalo del dottor Fuentes, l’Operacion Puerto in cui è coinvolto e che ne provoca l’esclusione dal Tour 2006 il giorno prima della partenza. Il 7 maggio 2007 ammette autoemotrasfusioni in vista del Tour, poi rettifica. Contattato il dottor Fuentes sì, ma niente siringhe. Collabora con la procura antidoping. Il 15 giugno è squalificato per due anni (sette mesi già scontati). Nel 2010 vince il Giro dopo un indimenticabile testa a testa sullo Zoncolan con Evans. Si cade, ci si rialza, si riparte. I ciclisti ci sono abituati. Bonne route, Ivan, come dicono da queste parti.