la Repubblica, 14 luglio 2015
Come salvare Bangkok, la citta che sta affondando. Si sfalda alla media di 10 centimetri all’anno, così la metropoli potrebbe scomparire entro il 2100. «Ma non saremo la nuova Atlantide». È sempre più allarme tra smottamenti inondazioni e interi villaggi sott’acqua. Ecco come gli esperti affrontano l’emergenza
Lo scorso 5 luglio un lungo tratto della Nongkae-Nong Sua Road si è sbriciolato come una torta. Il giorno dopo, accanto a un canale dell’ex capitale Ayutthaya, che sta poco lontano, la strada ha ceduto di lato. Sempre il 6 luglio a Saraburi 200 metri di asfalto si sono aperti in due lungo Khlong Rapeepat, e l’8 c’è stato un crollo a Pathun Thani, nel cuore di Bangkok.
Sia che i monsoni ritardino come sta avvenendo adesso, sia che arrivino in tempo, lo sgretolamento delle fondamenta argillose su cui poggia l’asfalto in Paesi tropicali come la Thailandia rimane nella media stagionale. Ma la velocità dello sfaldamento è molto più alta delle previsioni. Secondo gli ultimi rilevamenti, invece dei 7,5 centimetri in dodici mesi calcolati in precedenza, la subsidenza avrebbe già raggiunto i 10 centimetri, accelerando drammaticamente la discesa dell’attuale capitale di 10 milioni di anime verso la fase di non ritorno: insomma, entro il 2100, Bangkok potrebbe diventare l’Atlantide asiatica, di proporzioni colossali.
Non è la previsione di qualche pessimista buddhista, ma del capo del Centro nazionale disastri, Smith Dharmasaroja: attenzione, perché è l’uomo che con 14 anni di anticipo annunciò lo tsunami nell’Oceano Indiano. Quando ne parlò, quattro anni fa, dopo le devastanti alluvioni che paralizzarono Bangkok, Ayutthaya e altri centri lungo il fiume Chao Praya, anche la Banca mondiale, la Banca asiatica di Sviluppo e gli specialisti giapponesi classificarono la capitale thai tra le città asiatiche più a rischio a causa dei cambiamenti climatici, assieme a Ho Chi Minh City e Manila.
Tutti consigliarono di correre ai ripari al più presto per evitare di vedere avverata la profezia di Dharmasaroja, secondo il quale già nel 2030 ci sarà tanta acqua nelle strade di Bangkok da renderla impraticabile senza provvedimenti immediati. Ma dalle denunce poco è cambiato, e i grattacieli continuano a sorgere come funghi in ogni spazio vuoto della metropoli.
Che fare? Tra i progetti più ambiziosi ce n’è uno da 2 o 3 miliardi di dollari – quasi la metà dell’intero budget thai – per costruire barriere di cemento a largo del Golfo della Thailandia: qui le onde aggrediscono le coste al ritmo di 3 centimetri l’anno e interi villaggi e templi sono già stati sommersi più volte.
L’idea del muro sul mare oltre che costosa potrebbe però risultare inutile, come assicura Anond Snidvongs, studioso dei cambiamenti climatici nel sud-est asiatico. «L’aumento del livello dell’Oceano – dice – non è eccezionale e il cambiamento del clima influisce per una piccola parte, circa un quinto. Ma ci sono molti altri modi per combattere le inondazioni, come la migliore gestione dei terreni edificabili in città».
L’alternativa è la classica ultima spiaggia, ma non del tutto utopica: spostare la metropoli di sana pianta su altri terreni più rialzati dell’attuale metro e mezzo sotto il livello del mare. Del resto la capitale thai è cambiata spesso nella storia del Siam, anche se ormai Bangkok vive da 233 anni nel luogo dove la traslocò da Ayutthaya senza tanti complimenti il primo re dell’attuale dinastia regnante Chakri.
Durante un recente convegno scientifico un eminente esperto di risorse idriche di nome Sujarit Khoonthanakulwong ha pensato bene di presentare uno studio universitario con i diversi punti critici già evidenziati. Una delle strade trafficate, Ramkhamhaeng, ha il più alto tasso di “subsidenza” con due centimetri l’anno, seguita da Lat Krabang (un centimetro), senza contare le coste erose nelle province Samut Sakhon e Samut Prakan. Anche il professor Sujarit ha suggerito di fare subito qualcosa, come per esempio vietare di scavare nuove fondamenta o chiudere i canali ( klong), per metterci nientemeno che i grattacieli.
Spera che prima o poi qualcuno lo starà a sentire, se non sarà troppo tardi.