Corriere della Sera, 14 luglio 2015
Cronaca delle 17 ore che hanno cambiato l’Europa. Ivo Caizzi racconta l’Eurogruppo di domenica: dalla determinazione di Renzi all’imbarazzo della Merkel, passando per la giacca di Tsipras («Volete anche questa?»). Tra frutta, panini, birra e tweet, intorno alle 9 arriva il cinguettio del premier belga Charles Michel: «Accordo». Poco dopo Tusk ha ufficializzato
Nel cuore della notte, in un clima accesissimo per i continui contrasti tra capi di governo, il premier Matteo Renzi ha fatto capire che era davvero troppo per la Grecia quella richiesta lì. Tra l’altro, dopo ore di discussioni, quel fondo all’estero per mettere in vendita i beni dello Stato, magari includendo perfino le isole e il Partenone, se la Germania continuava a pretenderlo rischiava di far saltare la trattativa. «Sono stato il primo a intervenire con durezza di toni su questo tema – ha ammesso un Renzi visibilmente provato dopo le 17 ore di negoziati ininterrotti nell’Eurosummit a Bruxelles dei 19 capi di Stato e di governo della zona euro, conclusosi intorno alle nove del mattino —. Sono stato deciso nel dire che, se vuoi fare un fondo con i beni che vengono dalla Grecia, non puoi pensare di metterlo in Lussemburgo, perché sarebbe stata una umiliazione».
L’imbarazzo di Merkel
Merkel si è trovata in imbarazzo non solo per il tentativo di limitare la sovranità nazionale di un Paese membro. È emerso che il veicolo finanziario scelto, Institution for Growth in Greece nel paradiso fiscale di Lussemburgo, vede Atene di fatto sotto l’influenza del potentissimo partner Kfw, la banca di sviluppo della Germania, che nel consiglio schiera addirittura (l’odiatissimo in Grecia) ministro delle Finanze di centrodestra Wolfgang Schäuble e il vicecancelliere socialdemocratico Sigmar Gabriel.
Vari premier hanno sospettato che investitori tedeschi ambiscano ad acquisire beni della Grecia all’ottimo prezzo spuntabile quando uno Stato si trova a rischio di insolvenza. Si è malignato informalmente sul caso dei quattordici aeroporti greci (alcuni nelle isole turistiche più famose), promessi alla società tedesca Fraport dal precedente governo di centrodestra. Tsipras ha bloccato tutto, per trovare un acquirente più generoso. A un certo punto Merkel ha capito che, almeno su questo, conveniva cedere. I media online di mezza Europa erano scatenati ad accusarla di imporre condizioni capestro per umiliare Atene o provocare una Grexit di fatto (non prevista dai Trattati Ue). Non c’era solo il britannico Guardian, lo spagnolo El Pais o lo statunitense New Yorker. Il settimanale tedesco Spiegel aveva sparato come «catalogo degli orrori» la lista delle durissime misure di austerità chieste a Tsipras.
Frutta e panini
Nella sala dei leader, all’ottavo piano del Palazzo Justus Lipsius, oltre a frutta e panini, è arrivato l’eco della diffusione virale in Europa dell’hashtag che accusava la cancelliera di «golpe» contro la Grecia. Il fondo sarà così ad Atene, gestito dal governo con l’aiuto delle istituzioni Ue. «Abbiamo evitato il trasferimento di nostri beni all’estero», ha esultato Tsipras evidenziando una delle rare concessioni.
Anche l’importo delle privatizzazioni potrebbe diventare meno oneroso. In questo una mano alla Grecia l’avrebbe data con discrezione, ancora una volta, il presidente della Bce Mario Draghi, invitato all’Eurosummit per le problematiche bancarie, che già nell’ultimo Eurogruppo s’era scontrato con uno Schäuble intenzionato a cacciare Atene dalla zona euro per cinque anni. Draghi, da direttore generale del Tesoro, aveva gestito le privatizzazioni intensive dell’Italia post crisi finanziaria del ‘92. Renzi ha ammesso di aver saputo da lui che, spremendo tutto lo spremibile (pezzi dell’Iri, banche, autostrade), «s’era arrivati all’11% del Pil, come si può chiedere alla Grecia di fare più del doppio...».
Il «salto» di Tusk
Il presidente francese François Hollande si è assunto il ruolo di principale mediatore per frenare l’ostilità anti Tsipras della cancelliera. Appena si avvicinava la rottura, chiedeva incontri a quattro con Merkel, Tsipras e il presidente polacco del Consiglio Donald Tusk. Quest’ultimo sembrava aver stampato in volto «mi ha chiamato la Casa Bianca» per spiegare il suo salto dalla linea dura di Berlino a quella di Washington, favorevole al compromesso.
Da questi colloqui ristretti si è consumato lo psicodramma del presidente lussemburghese della Commissione Jean-Claude Juncker, sempre escluso nonostante il suo ventennio di fedeltà a Berlino. Era l’ora criminale, quella che nei summit vede tracollare uno dopo l’altro, su sedie, tavoli e pavimenti, i giornalisti più stremati, che in genere hanno preferito la birra al caffè. Ma tra quelli ancora lucidi circolava un’unica spiegazione: Merkel si sarebbe convinta che l’impopolare e controverso Juncker ha favorito la vittoria del no di Tsipras, nel referendum sulle misure di austerità in Grecia, esortando pubblicamente a votare il si gradito dalla cancelliera.
Uno scontro tra Renzi e il premier olandese Marc Rutte è stato smentito dalla delegazione italiana. Potrebbe esserci stato uno scambio con il premier spagnolo Mariano Rajoy, che nella notte si sarebbe pizzicato più volte con il collega dell’Aia. Tra i due non c’entrava la Grecia, ormai data per seppellita dalle misure di austerità accettate una dopo l’altra. L’olandese filo Merkel Jeroen Dijsselbloem è stato votato di nuovo presidente dai ministri dell’Eurogruppo. E Rajoy tentava in extremis di convincere a preferire il suo Luis de Guindos, egualmente cerimonioso con la cancelliera. Con Tsipras, sponda ellenica dell’estrema sinistra spagnola di Podemos, Rajoy non ci ha nemmeno provato.
Tusk ha tirato fuori una proposta di compromesso poco dopo le quattro. Circa un’ora dopo si è saputo di un’altra sua riunione a quattro con Merkel, Hollande e Tsipras. Il premier greco ha giudicato troppi i 50 miliardi del fondo, pur trasferito ad Atene. Si sarebbe sfilato la giacca, dicendo provocatoriamente «volete anche questa?». Si è anche opposto al ruolo invadente attribuito al Fondo monetario di Washington.
Il belga Michel alle 9: «Accordo»
Alle sei il premier maltese Joseph Muscat ha annunciato via twitter una «nuova interruzione» dell’Eurosummit. Il premier finlandese Juha Sipila ha poco dopo twittato che c’erano «questioni ancora aperte». Improvvisamente è trapelato il rischio di una clamorosa rottura, che poteva portare la costruzione dell’Europa sull’orlo del tracollo. Quando si è saputo dell’ennesimo incontro Merkel-Hollande-Tsipras-Tusk, anche i giornalisti più malmessi si sono tirati su.
Il premier sloveno Miro Cerar, lasciando il summit a lavori in corso, ha ammesso che c’era «una questione aperta». Sono iniziate a circolare voci di una clamorosa frattura tra Merkel e Hollande. Il commissario Ue francese Pierre Moscovici ha twittato che non era vero e confermato la «volontà di compromesso». Poi è uscita l’arcigna presidente lituana Daria Gribaskaute e ha lanciato un ci siamo «quasi». È stato il premier belga Charles Michel a twittare «accordo». Alle 9 Tusk ha ufficializzato. La delegazione di Tsipras ha sbandierato il risultato: «Restiamo nell’euro». Quella di Merkel, dopo aver ottenuto condizioni durissime, ha escluso che l’immagine della Germania ne sia uscita deteriorata.