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 2015  luglio 13 Lunedì calendario

Quando nacque il tank, dio della guerra del Nocecento. Dai primi cigolanti blindati britannici nella Prima Guerra mondiale, alle titaniche battaglie di carri della Seconda fino al tramonto nell’era dei droni e della cibernetica

È difficile che dalla vita del matematico russo Andrei Kolmogorov (1903-1987) si ricavi un film accattivante come The imitation game, su Alan Turing che decifra il codice segreto tedesco e contribuisce alla vittoria alleata nella Seconda guerra Mondiale. Turing era un sofferente, solitario omosessuale, spinto al suicidio, Kolmogorov per sopravvivere alle purghe degli Anni Trenta a Mosca, denuncia il suo innocente maestro Nikolai Luzin, padre della scuola statistica russa, come traditore e, grazie alla delazione, diventa pupillo del Cremlino.
Gli storici concordano che la guerra si vinse all’Est, la campagna di Russia dissangua Hitler, permettendo agli angloamericani di sconfiggere nel 1944-1945 una Wermacht spezzata. Lo storico americano Paul Fussell, veterano ferito più volte, ammetteva «Ogni volta che ci siamo battuti contro i tedeschi ad uomini e carri armati pari, i tedeschi ce le han suonate». Se l’Armata Rossa ferma i nazisti, una parte del merito va al dimenticato matematico Andrei Kolmogorov, almeno quanto nella vittoria britannica a Turing.
Contro i carri armati tedeschi, che secondo la brillante tattica del generale Guderian, in Europa nel 1940, tagliano aree di territorio, per poi far affluire la fanteria, Kolmogorov propone al Cremlino di adottare i suoi calcoli statistici (http://goo.gl/SHm4fb) poeticamente definiti «Paradosso del Grande Cerchio». Kolmogorov dimostra, in un fondamentale saggio del 1942, che anziché provare ogni volta a fare centro perfetto sul bersaglio che vogliono colpire, come in un gioco di freccette, gli artiglieri russi che mirano a un carro armato, o i piloti di carri armati che inquadrano cannoni nemici, avrebbero fatto meglio solo a tentare di colpire con una salva il bersaglio, ovunque nella sua sagoma. Statisticamente è meglio mettere più colpi a segno comunque sul target, che sforzarsi di segnar sempre i 100 punti del centro.
Il cambio logico, che ha in statistica infinite applicazioni anche nella nostra vita quotidiana o professionale, applicando a perfezione il metodo detto di Bayes, dilata l’efficacia dell’esercito russo: Kolmogorov, decorato, muta le sorti del XX secolo.
Del XX secolo il carro armato, che un calcolo astratto proteggerà nella steppa, rimane icona. Cento anni fa i pionieristici, un po’ ridicoli, carri armati cigolano lungo le trincee della Prima guerra mondiale. Nella Seconda, il conflitto che più esalta l’arma corazzata sui cingoli, ogni paese è caratterizzato dai suoi tanks. I Tigre tedeschi, lampi verso Parigi saranno fermati dalla «rasputizja», la fanghiglia viscida che annuncia e segue l’inverno russo. I formidabili T34-85 dell’Unione Sovietica mettono il Terzo Reich alle corde. I Cruiser Tank inglesi che, nel deserto africano tanti dolori infliggono ai coraggiosi carristi italiani, senza benzina nelle impossibili «scatolette di latta», mai davvero competono con i tedeschi: all’avanguardia negli Anni Venti, Londra coloniale perde con presunzione il primato, malgrado lo stratega Liddell Hart si sgoli, inascoltato, a spiegare allo Stato maggiore che la guerra corre sui cingoli. Gli americani non riescono a progettare un carro armato perfetto, come ricordano le pene del malinconico Brad Pitt in Fury, la frenetica capacità produttiva delle catene di montaggio a Detroit di General Motors e Chrysler, dalle paciose berline ai carri armati, batte il nemico con la quantità, ma neppure l’ultimo nato, M 26 Pershing, sarà senza difetti.
I successori, M 60 (Chrysler) e Abrams (General Dynamics) impiegati in Iraq, saranno come i carri armati del Risiko, segno di forza formale non di guerra. La Guerra Fredda oppone carri armati che sparano solo in addestramento (e sono sempre più pilotati via computer, vedi Israele nella guerra a Hezbollah 2006, con le leve sporche di olio alla Fury) e pesano strategicamente non sul campo. In Corea e in Vietnam, i carri armati sono fermati da risaie, giungla, terreni aspri, mancanza di strade e pianure.
I giorni storici dei carristi restano, 72 anni or sono, dal 5 al 16 luglio 1943, quelli di Kursk, la più grande battaglia di carri armati. Stalin vuol aprirsi la strada per la vendetta a Berlino, Hitler bloccare per l’ultima volta l’Armata Rossa. Duemila tank nazisti contro 5000 sovietici, colpi, acciaio fuso, pannelli corazzati in frantumi, cingoli ai limiti della manovrabilità, cannoni incandescenti. Quando il silenzio ricade sulla piana di Kursk, 500 carri con la svastica son stati colpiti, 1614 con la falce e martello distrutti, 50.000 perdite tra morti, feriti e prigionieri tedeschi, 177.847 tra i russi: Hitler ha perso la guerra.
La goffa arma nata della Prima guerra mondiale conoscerà però, dopo Kursk, un altro giorno di gloria, senza tv e audience in diretta. Il 26 febbraio 1991, Prima guerra in Iraq, in un deserto perfetto per i carri, le truppe corazzate angloamericane del generale McMaster affrontano i mezzi della Guardia repubblicana del generale Salah Aboud Mahmoud. Nessuna città vicina, solo remote coordinate geografiche, 73 Easting, per uno scontro che, poche ore dopo la violenta battaglia di carri a Al Busayyah, fiacca gli iracheni di Saddam Hussein e assicura alla coalizione sotto egida Onu di Bush padre la vittoria. Gli americani perdono un carro e hanno sessanta feriti da fuoco amico, gli iracheni perdono 1000 uomini e 157 mezzi. È l’ultimo Hurrà del carro armato: oggi, stagione di droni, l’esercito americano dispiega meno carri armati di quanti Hitler disperatamente impegnò a Kursk.