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 2015  luglio 13 Lunedì calendario

Lo strano caso di Harper Lee e del suo Atticus Finch che, prima di essere l’avvocato amico dei neri ne Il buio oltre la siepe, era un bieco razzista. Ma lo si scopre solo cinquant’anni dopo

A chi appartengono i personaggi dei grandi romanzi? A noi lettori, per sempre, o ai loro autori? E se lo scrittore, in un altro romanzo, cambia le carte in tavola, ripensando radicalmente un personaggio che per mezzo secolo il mondo ha amato e eletto al ruolo di eroe – di santo laico, quasi? Cosa succede quando Atticus Finch, avvocato amico dei neri disposto nobilmente a lottare contro ogni sopruso in Il buio oltre la siepe diventa, in un altro libro della stessa autrice, un bieco razzista? A chi appartengono i nostri eroi?
È successo proprio questo con Va’, metti una sentinella, il romanzo di Harper Lee che esce domani negli Stati Uniti (in Italia a novembre, edito da Feltrinelli) cinquantacinque anni dopo Il buio oltre la siepe.
Va’, metti una sentinella è in realtà il primo romanzo di Harper Lee, per tutti questi anni rimasto in un cassetto (o meglio, in una cassetta di sicurezza) e dimenticato, riemerso l’anno scorso in circostanze non chiarissime.
È una sorta di prima stesura del capolavoro Il buio oltre la siepe, con gli stessi personaggi. Racconta il ritorno a casa per due settimane di una giovane donna del profondo Sud degli Stati Uniti, Jean Louise Finch (la piccola Scout di Il buio oltre la siepe ) che si è trasferita a New York per fare la pittrice, e il suo rapporto con l’ormai anziano padre avvocato, Atticus. Che in Va’, metti una sentinella è ormai malandato e settantaduenne, razzista che partecipa a una riunione del Ku Klux Klan, contrario alla parità dei diritti e favorevole alla segregazione razziale. E dice alla figlia di non voler vedere il livello delle scuole per soli bianchi «trascinato verso il basso» per favorire l’ingresso degli studenti afroamericani.
Quando Lee, esordiente, consegnò nel 1956 il manoscritto, l’editore le suggerì di concentrarsi su un breve aneddoto citato in un flashback – il processo per stupro a un ragazzo afroamericano ingiustamente accusato da una bianca e difeso da Atticus Finch: nella stesura originale ne otteneva l’assoluzione – e di raccontarne la storia attraverso gli occhi della figlia. Non più ventenne degli anni Cinquanta, come appare in Va’, metti una sentinella, ma bambina negli anni Trenta.
Così nacque Il buio oltre la siepe, uscito nel 1960 senza nessuna aspettativa di successo: premio Pulitzer a sorpresa, portato al cinema da Gregory Peck al massimo del suo carisma, trenta milioni di copie vendute fino a oggi in quaranta lingue.
Il buio oltre la siepe è la storia di un avvocato gentiluomo in abito chiaro, cravatta e occhialini che crede nell’uguaglianza e nella difesa dei più deboli, e difende un nero innocente contro il pregiudizio di una cittadina intera nell’Alabama della segregazione razziale. Una causa impossibile che Atticus Finch conduce con integrità, fino alla sconfitta finale, inevitabile. Atticus, che chiede sempre di mettersi nei panni degli altri prima di giudicarli, ha illuminato con la sua umanità generazioni di lettori. Il buio oltre la siepe è il libro che Obama ha letto ad alta voce alle sue figlie, lo ama a tal punto da essere apparso in tv come annunciatore, per introdurre il film nel cinquantesimo anniversario della sua uscita. Atticus Finch ha mandato all’università un esercito di ragazzi americani – diventati famosi come lo scrittore Scott Turow e il giudice del processo all’autore della strage di Oklahoma City del 1994, e tantissimi non famosi – che ammettono di essersi iscritti alla facoltà di Legge per seguire l’esempio, e l’autorità morale, di Atticus Finch.
La signorina Lee – che non si è mai sposata, non ha scritto altri romanzi e dal 1964 non ha più rilasciato un’intervista – grazie anche al viso straordinario di Gregory Peck ha involontariamente messo sulle spalle del suo personaggio un peso insostenibile per un essere umano, una santità impossibile da gestire. Che in una precedente stesura del suo capolavoro – Va’, metti una sentinella è questo, alla fine: la prima stesura di Il buio oltre la siepe – l’uomo meraviglioso idolatrato da sua figlia – e da tutti noi lettori – sia un uomo schiavo dei pregiudizi del suo tempo finisce per renderlo, alla fine, più umano. È più realistico che un anziano bianco dell’Alabama anni Cinquanta non volesse le scuole aperte ai neri piuttosto che, cinquantenne, negli anni Trenta, fosse disposto a farsi linciare come difensore di un nero presunto colpevole.
Va’, metti una sentinella è un libro sulla disillusione di noi figli adulti davanti ai nostri genitori, che quando eravamo bambini erano i nostri eroi: giganteschi, infallibili. E in questo, curiosamente, racconta lo stesso tema dell’altro caso letterario americano del 2015, Purity di Jonathan Franzen (esce a settembre negli Stati Uniti, nel 2016 in Italia presso Einaudi): la delusione inevitabile del nostro essere figli di genitori non all’altezza delle nostre aspettative.
Il titolo di Va’, metti una sentinella è una citazione biblica, da Isaia. I librai del Regno Unito dieci anni fa votarono quale fosse, secondo loro, il libro da leggere assolutamente. La Bibbia arrivò seconda. Dietro a Il buio oltre la siepe.