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 2015  luglio 13 Lunedì calendario

Casillas, Xavi, Gerrard, Schweinsteiger: è l’estate in cui vengono ammainate le bandiere storiche del pallone europeo. Da ultimo abbiamo visto il portiere spagnolo, uno dei migliori della storia, piangere come un bimbo, nella pancia del Santiago Bernabeu, cornice di mille trionfi, all’avvio della conferenza-stampa di saluto

Sempre difficile è camminare il passo del commiato. Quasi impossibile controllare quel che resta in superficie, in coda, dopo aver finito di fare quel che si doveva, dopo aver colmato gli anni di emozioni, e di felicità, e di sentimenti. Abbiamo visto Iker Casillas, uno dei migliori portieri della storia, piangere come un bimbo, nella pancia del Santiago Bernabeu, cornice di mille trionfi, all’avvio della conferenza-stampa di saluto (e non di addio) al Real Madrid. Una parola e una pausa, ancora mezza frase, la gola annodata, le lacrime lì a uscire al posto delle lettere. Venticinque anni, 18 titoli e 725 partite, del resto, non possono che rimanere incisi nella mappa del cuore. «Sembra ieri quando da bambino indossai per la prima volta questa maglia. Abbiamo riso, pianto, vinto. Questo club mi ha formato come persona, con i valori del rispetto e dell’umiltà. Mi ricordo di tutti i compagni, ho vissuto momenti unici. Lascio grandi amici. Anche tutti gli allenatori, da Mezquita a Carlo Ancelotti. Da tutti ho imparato tanto. Spero che la gente si ricordi di me per essere stato una brava persona, con i miei difetti e le mie qualità. Grazie. Non potrò mai dimenticare tutto questo e ovunque andrò griderò “Hala Madrid!”’. Non dirò addio ma arrivederci», ha confidato fra gli applausi e i palpiti dei cronisti e dei tifosi, tornati d’improvviso adoranti, dopo aver prestato troppo ascolto a certi sussurri di Mourinho. Iker se ne andrà al Porto, ma ad abbandonare il Madrid non sarà soltanto un ottimo portiere o un grande capitano: sarà una figura nobile, corretta, sempre allineata al sentiero dell’etica e della fedeltà. In due parole: una bandiera. È perfino malinconico registrarlo: il mercato dell’estate del 2015 è passato e ha ammainato una sequenza di bandiere storiche del pallone europeo. Per dirne alcune, qualche settimana fa l’infinito Xavi ha smesso la maglia del Barcellona, lasciando così la squadra con cui ha incantato il mondo e ha scalato ogni vetta possibile in un viaggio durato 24 stagioni. La sua strada ora riprenderà nell’Al-Sadd, in Qatar.
RITIRI LONTANI
Meno di due mesi fa, viceversa, è stato Steven Gerrard a fermarsi e a scendere dalla giostra del Liverpool. Nessuno lo avrebbe neppure ipotizzato: e invece... Fedele e fidato per la meraviglia di 28 anni, Steven è salito sul trampolino della Premier e si è tuffato al di là dell’Atlantico, planando leggero nella piscina dorata dei Los Angeles Galaxy. Proprio ieri ha esordito con i colori californiani, contro il Club America nella International Champions Cup, e ha vinto per 2-1. Sono storie che piovono da lontano, alle volte gonfiate dalla distanza, spesso attenuate dall’idea di un calcio minore, un calcio per giocatori attempati, calcio americano. Certo non il panorama in cui spazierà Bastian Schweinsteiger, che giusto sabato ha deciso di chiudere una storia lunga 17 anni con il Bayern Monaco, e di abbracciare il Manchester Utd. È un altro capitano che si sfila la fascia, Schweinsteiger: come Casillas, Xavi e Gerrard. Già, tutti bambini cresciuti nei vivai, divenuti presto tifosi, e campioni, e capitani, e rapiti alla fine dalla voglia di chiudere l’avventura non dove l’avevano cominciata ma in un altrove qualsiasi.