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 2015  luglio 10 Venerdì calendario

Mettere a cuccia i mercati. Le borse cinesi e il comunismo che (forse) serve ancora a qualcosa

«Lo vedi che il comunismo serve ancora a qualcosa?», mi dice sghignazzando un vecchio amico di destra commentando l’intervento del governo cinese, che ha provato ad arginare (pare con successo) il crollo della Borsa vietando ai grandi azionisti e alle società quotate di vendere i propri titoli per sei mesi. Ci capisco molto poco, direi quasi niente; ma mi pare di capire che il libero mercato sia stato, in questo caso, messo nelle condizioni di essere un poco meno libero, come il cagnaccio cui si impone la museruola perché non faccia troppi danni.
Al netto dell’ilarità del mio amico, devo ammettere che ogni qual volta la politica prova a rimettere in riga l’economia, e in specie l’economia finanziaria, mi sento rassicurato. Cina o non Cina, guardo con sospetto al principio (globalizzatissimo) che l’economia sia ingovernabile, una specie di forza della natura alla quale inchinarci tutti come il selvaggio di fronte al fulmine o al ciclone. Sospetto, anzi, che dietro questa nomea di indomabile “naturalità” dell’economia si nasconda spesso l’interesse del più forte e del più furbo. Immagino che le maniere forti del governo cinese facciano, ai liberisti puri, l’effetto di una goffa intrusione, destinata comunque a essere travolta dal tempo e dalla permeabilità di tutte le economie, nessuna delle quali è un compartimento stagno: non si mettono le briglie ai mercati. Ma almeno incutergli un poco di soggezione, ai mercati, e ogni tanto dirgli «a cuccia!», è un’idea così sbagliata?