Il Sole 24 Ore, 10 luglio 2015
L’esperienza che i romani vivono quotidianamente è quella di una città e di un sistema di servizi fuori controllo. I singoli episodi del disservizio hanno spesso cause anche molto diverse, eppure si collegano fra di loro a generare uno standard urbano di pessimo livello e un clima di sfiducia e insicurezza che poi esplode nei momenti di punta della tensione emotiva, come è successo ieri con la dura contestazione al sindaco Marino. La Giunta Marino deve riorganizzare i servizi della città
Quando accade una tragedia come quella di ieri alla stazione della metrò di Roma Furio Camillo, tanto più se riguarda la vita di un bambino di 5 anni, qualunque analisi che voglia andare oltre l’episodio specifico per fotografare un quadro più generale del caos che attanaglia la Capitale rischia di scadere nella forzatura. Eppure, l’esperienza che i Romani vivono quotidianamente è proprio quella di una città e di un sistema di servizi fuori controllo. I singoli episodi del disservizio hanno spesso cause anche molto diverse, eppure si collegano fra di loro a generare uno standard urbano di pessimo livello e un clima di sfiducia e insicurezza che poi esplode nei momenti di punta della tensione emotiva, come è successo ieri con la dura contestazione al sindaco Marino.
La relazione del prefetto Gabrielli al ministro Alfano si è incaricata di dire che l’intreccio di caos e malaffare che avvilisce Roma e la frena nel suo sviluppo hanno radice nelle gestioni politiche precedenti a quella attuale e non sono certamente un prodotto dell’attuale sindaco, che tuttavia non è privo di responsabilità politiche per una reazione insufficiente nel momento in cui la città dovrebbe espellere il virus portato alla luce dalla magistratura e ripartire con dignità, responsabilità e, se possibile, solidarietà.
Dal Campidoglio arrivano rassicurazioni che la reazione è stata innescata anche grazie all’immissione di risorse umane di qualità – come il vicesindaco alla legalità Sabella e il nuovo direttore generale dell’Atac Francesco Micheli – ma la città vive queste rassicurazioni come qualcosa di estraneo e lontano. La città continua a usare mezzi e servizi di trasporto rigidi e vetusti; soprattutto non si è creata alcuna forma di solidarietà e collaborazione fra i cittadini e chi, con la casacca dell’amministrazione comunale, dovrebbe aiutarli e spingere per uscire da questo caos.
Al contrario, le cronache raccontano lo sciopero bianco dei lavoratori delle metropolitane, che per difendere i loro interessi minoritari non si fanno scrupolo di mettere in ginocchio la città. Più che solidarietà, siamo in presenza di sciacallaggio in spregio di ogni regola. E se bene ha fatto in questo caso il sindaco a denunciare gli episodi all’Autorità garante sullo sciopero e alla Procura, resta il problema di una città fuori controllo e di un sistema che non funziona. I cittadini si aspettano misure drastiche, che puniscano duramente i colpevoli (anche con il licenziamento se ricorrono le condizioni), come d’altra parte chiede di fare il prefetto Gabrielli con la rimozione dei dirigenti collusi con Mafia Capitale. La prima risposta di un’amministrazione sana è punire chi agisce, vestendo la maglia della città, contro la città. Si vada fino in fondo contro infedeltà, malaffare e irresponsabilità.
Ma questo non basta. Quella stessa durezza e chiarezza deve esercitarsi in una «fase due» più delicata e più complessa, che è quella di riorganizzare i servizi della città. L’Atac ha un nuovo piano industriale che Micheli ora cercherà di tradurre in realtà: divisionalizza dando target adeguati, agisce a fondo sulla organizzazione malata della vecchia municipalizzata, taglia esuberi e rami secchi, rilancia gli investimenti in bus e treni, crea nuovi servizi di mobilità, prova a utilizzare più personale in chiave di assistenza ai cittadini. E soprattutto ripropone il nodo dell’aumento della produttività che significa cartellino ai dipendenti, abolire una selva di vecchi accordi sindacali, ridurre lo stipendio agli amministrativi, aumentare gli orari di lavoro assurdi: un macchinista a Roma guida per 736 ore annue, a Napoli 850, a Milano 1.200.
Atac è un nodo vitale per la città e non da oggi. Dopo i progressi dati dalla linea Rutelli-Tocci, che aveva parzialmente privatizzato il servizio con una gara per il secondo gestore che consentiva di confrontare offerte alternative e costi aziendali, la giunta Veltroni decise nel 2003 il rinnovo per sette anni del contratto in house cementando il monopolio e tutti i mali di inefficienza che dal monopolio arrivano. L’era Alemanno ha solo peggiorato la situazione con le assunzioni clientelari e la riunificazione, senza un disegno industriale, delle aziende di trasporti.
Oggi bisogna ricostruire Roma partendo dal rilancio dell’Atac e del sistema della mobilità romana. Bisogna affrontare il nodo di una mobilità polverizzata che ha bisogno di nuove risposte e nuove forme di offerta. Ci vuole coraggio e non solo per l’Atac: bisogna riformare il servizio di taxi, dare spazio ai nuovi servizi come car pooling e car sharing (si prenda esempio da Milano) e si deve dare spazio alle nuove piattaforme come Uber. Solo con questo coraggio Roma potrà pensare a una rinascita.