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 2015  luglio 10 Venerdì calendario

I nonnetti del perenne malaffare italiano. Con il dovuto affanno a Montecitorio hanno acceso una specie di macchina del tempo, e così l’agognata decurtazione dei vitalizi ha finito per colpire dieci piccoli grandi fantasmi di un’Italia che non c’è più. Ricordiamo chi sono (o erano)

Visti con gli occhi di oggi, per quei pochi ormai che ancora se li ricordano, sono i nonnetti del perenne malaffare italiano, pura archeologia politica e criminale, confusa malinconia civica ed esistenziale.
Forse perché troppe se ne sono viste, dopo di loro. E comunque: se al Senato, come dio vuole, hanno tolto questi benedetti vitalizi a parecchi personaggi bene o male emersi nella Seconda Repubblica (i cattivacci del berlusconismo Previti e Dell’Utri, l’ineffabile produttore Cecchi Gori, il regista fasciocomunista Squitieri), con il dovuto affanno a Montecitorio hanno acceso una specie di macchina del tempo, e così l’agognata decurtazione ha finito per colpire dieci piccoli grandi fantasmi di un’Italia che non c’è più.
Ribadito che la presente non sembra poi molto diversa, né migliore, il vicepresidente cinquestelle dell’assemblea, Di Maio, li ha graziosamente definiti «sfigati», il che sul piano anagrafico sarà anche un po’ vero, ma in un’altra prospettiva suona come minimo riduttivo.
O almeno: dieci anni prima che egli nascesse, Massimo De Carolis, democristiano d’intransigente anticomunismo, già promotore della Maggioranza silenziosa e vittima di un attentato delle Brigate rosse, intratteneva fitti rapporti con Licio Gelli, Venerabile Maestro della Loggia segreta P2, e con quell’altro cuoricino di Michele Sindona, per giunta latitante all’hotel Pierre di New York, e lì a quei tempi dedito a gestire le finanze di rischiosi ambienti siculo-americani.
Non era l’unico, certo. Ma anche solo a considerare la caratura di quei due gentiluomini si comprende che la designazione di «sfigato» suona povera, se non peggio. Poi sì, certo, l’astro di De Carolis, che anche a 50 anni conservava la faccia da bambino cattivo, declinò. Si fece buttiglioniano, poi berlusconiano, come tale ebbe diversi guai giudiziari, al termine gli fu fatale un depuratore.
I rifiuti solidi urbani, del resto, nel senso di una controversa privatizzazione della Nettezza Urbana, hanno segnato la sorte di altri due ex onorevoli del Psi napoletano, oggi esclusi dal vitalizio per vicende emerse intorno a Tangentopoli.
Uno è il baffuto Raffaele Mastrantuono, che da avvocato e deputato visitava Poggioreale prima di finirci dentro lui. L’altro una figura di spicco del craxismo, Giulio Di Donato, vicesegretario con occhioni azzurri e casa in fondo a Posillipo, approccio temerario e inesauribile alla politica seppure poco lungimirante, come si comprese dal lapidario commento dopo aver visto «Il Portaborse» di Luchetti- Moretti: «Mi viene da vomitare».
Sempre in zona il malricordo delle magnifiche feste capresi del riverito ministro De Lorenzo, che si liberò dei documenti scomodi bruciandoli in un pentolone nella cucina di casa. La Napoli della compravendita di voti e di immobili, ma anche dei candelotti di dinamite, il possesso dei quali mise nei guai l’ex onorevole missino Massimo Abbatangelo, pure rivelatosi assai poco selettivo nel legarsi a personaggi ad altissimo rischio. «Svitalizzati» entrambi: il primo non se ne dispiacerà avendo intrapreso la via del riscatto; il secondo chissà.
Tolti i soldi anche al socialista lombardo Gianstefano Milani, tra i primi a incappare nel fantastico proto-scandalo delle «carceri d’oro»; come pure al capo della Coldiretti del Veneto bianco, Gianmario Pellizzari, naturalmente dc, che anche lui in epoca pre-Tangentopoli s’avventurò in un’azienda che riempiva di estrogeni le mucche e fece bancarotta.
Infine i profeti o, con meno enfasi, i precursori dell’oggi. Tra questi si annovera il focoso sindaco di Taranto Giancarlo Cito che, leghista anzitempo e populista senza speranze, assai prima di qualcun altro cominciò la sua scalata da una televisione privata. Poi è finito dentro e ha tentato il suicidio.
In galera ante litteram e poi ai servizi sociali anche Pietro Longo, leader di un Psdi precocemente svuotato di ogni ideologia, ma o forse proprio per questo fra i primi a sfidare il ridicolo cantando e ballando in televisione. Socialdemocratico deprivato di vitalizio anche Robinio Costi, dell’omonima dinastia capitolina: in gioventù aveva dato il meglio come truccatore di scena in «Cleopatra» e come attore in altre pellicole del genere. Un giorno, davanti all’attonito segretario del Psdi Cariglia, mollò un pizzone a un compagno suo rivale che si ritrovò senza un dente.
Erano tempi difficili e insieme fin troppo facili. Tutto in Italia cambia per restare uguale.