la Repubblica, 9 luglio 2015
Il Cocco e già vincitore di Wimbledon, Andy Murray, ora se la vedrà in semifinale con un Roger Federer non solo ringiovanito, all’apparenza, ma sempre più creativo. E così Gianni Clerici comincia a domandarsi «se una piccola percentuale di possibilità finale non si possa negare a questa presunto più grande di ogni tempo, figura mitica, e quindi non attribuibile a qualcuno ben vivo, vivissimo»
Il più massiccio sciopero della Metro degli ultimi dieci anni, e una pur lieve diagnosi di una dottoressa gerontofila, mi hanno trattenuto in casa, davanti al televisore, così come fanno abitualmente la maggior parte dei miei colleghi stranieri a Wimbledon. Ciò è dovuto al fatto che l’informazione è prevalsa sulla scrittura, me non è certo questa la sede per approfondire una ferita più grave della mia febbriciattola. Della BBC ho ammirato le immagini di una regia di gente che conosce il tennis, e non sembra frustrata di non essere divenuta simile a Fellini & C. Ho ammirato un po’ meno i commentatori britannici, pur rafforzati da un McEnroe arrochito, i quali sembrano ignorare quanto conosce un liceale italiano e si limitano al solito ad informazioni statistiche, e ad affermazioni quali «bel punto», «ben giocata», «buon lavoro». Per non accennare alla supervisora, la ex tennista Sue Barker, che passa la giornata a sorridere di fronte ad ogni vicenda, forse per nascondere le rughe.
Al di là di ciò non posso celare la mia ammirazione per un giovane sconfitto, il due metri canadese Pospisil, che già avevo ammirato contro Fognini, battuto in 4 set. Fognini era stato criticato per la sconfitta, ma a torto. Pospisil possiede tale battuta, e simile tennis d’attacco, che il Cocco e già vincitore di Wimbledon, Andy Murray, ha faticato i suoi tre set, oltre ai tre break che gli hanno concesso di affacciarsi al prossimo match contro un Roger Federer non solo ringiovanito, all’apparenza. Federer è parso infatti svolgere una sorta di allenamento agonistico contro uno dei due francesi giunti ai quarti (prima volta per due galli dal 1991), Gilles Simon. Simon ha ottime qualità, senza essere nato genio. È intelligente, ha spesso un diritto punitivo, un rovescio regolare. Ma il Federer di oggi era talmente creativo da trasformare Simon in un ottimo sparring partner: sino a costringerlo ad affermare, alla fine «per togliergli una volta la battuta ho dovuto giocare al 101%». Esibirsi, come fa il fenomeno, a tutto campo, con rovesci che appaiono spesso mezze volate dal fondo, con improvvisi mutamenti di rotazioni, dal lift ormai imperante al vecchio slice, attaccare non solo con la battuta ma, appena possibile, anche sui rimbalzi, non usa più. Tanto che comincio a domandarmi se una piccola percentuale di possibilità finale non si possa negare a questa presunto più grande di ogni tempo, figura mitica, e quindi non attribuibile a qualcuno ben vivo, vivissimo.
Nonostante quel che l’ammirazione mi spinge a scrivere, continuo a ritenere Djokovic il favorito del torneo. Aveva contro, qualcosa di più di un solito avversario. Nonostante i loro buoni rapporti umani, Nole è serbo, mentre Cilic croato, e tra le due etnie non mi permetterei mai di usare un eufemismo quale rivalità. Dopo la nettissima e più che sorprendente vittoria allo US Open, Cilic non si è più ripetuto, anche in seguito a un infortunio. Ed è caduto, dall’attuale N. 9 ATP, addirittura al N. 41 della cosiddetta Race, la classifica che tiene conto dei risultati annuali del 2015. Dopo la paura del turno precedente, i due set di ritardo contro Anderson, Djoko ha ritrovato una concentrazione scalfita, e, mi pare, è ritornato il favorito, non solo dei bookmakers.
Il match più lungo e imprevedibile dei quarti di finale si è giocato tra un Wawrinka non certo simile al vincitore del R.G. e un Gasquet che pareva resuscitato, dal bambino poi fallito che mi aveva spinto a chiedere, 13 anni addietro, al mio vicedirettore Garimberti, lo spazio per un pezzo entusiasta. Dopo infinite sconfitte e umani squilibri (il bacio alla coca!), sotto la guida del mio amico Piatti, Richard pareva alfine aver ritrovato se stesso. La rottura con Piatti sembrava una pietra definitiva sulle sue aspirazioni. Oggi, d’improvviso, con dodici anni di ritardo Richard è parso il bambino prodigio ritrovato. Sono umanamente lieto per lui. Spesso, le sconfitte nel tennis, possono diventare sconfitte nella vita.