Corriere della Sera, 9 luglio 2015
A Palazzo Sciarra un museo dei tesori ritrovati. Opere d’arte fuori dal caveau, ora a disposizione di tutti gli amanti del bello. Una visita in anteprima alle 14 sale volute dal presidente della Fondazione Roma Emmanuele Emanuele. L’inaugurazione dopo l’estate
Una Imago Pietatis dipinta intorno al 1480 a tempera su tavola da Piermatteo d’Amelia, l’artista famoso per avere affrescato, prima di Michelangelo, la volta della Cappella Sistina con un cielo blu tempestato di stelle. Una Madonna lignea scolpita nella stessa epoca da Silvestro dell’Aquila, che fu anche architetto e pittore, lavorò in Abruzzo e a Firenze e lasciò una ricca produzione, oggi quasi interamente dispersa.
Sono queste le prime opere che si incontrano all’ingresso della pinacoteca di Palazzo Sciarra, voluta dal presidente della Fondazione Roma, Emmanuele Emanuele, in quella che è la sede storica della fondazione stessa. Il nuovo museo verrà inaugurato dopo l’estate. Lo abbiamo visitato in anteprima, seguendo un percorso che si snoda attraverso quattordici sale del palazzo costruito nel Medioevo dai Colonna sui resti dell’acquedotto della Vergine e passato tra il Sei e il Settecento al ramo Colonna di Sciarra. Il 22 settembre 1969 lo storico edificio fu venduto alla Cassa di Risparmio di Roma, che possedeva anche una collezione di opere d’arte, il cui nucleo originario risaliva al patrimonio storico del Monte di Pietà, di cui la banca era idealmente l’erede.
Quando la Cassa di Risparmio è confluita in Unicredit, Emanuele è riuscito a farsi lasciare in fondazione un piccolo nucleo di dipinti antichi, intorno ai quali ha costruito negli ultimi vent’anni una quadreria che ora conta circa 350 opere, dal Quattrocento a oggi. Dice che la creazione di una pinacoteca da aprire gratuitamente al pubblico è uno dei suoi tanti sogni. «Dalla vita ho avuto tutto – racconta Emanuele – addirittura molto più di quanto speravo. Oggi è arrivato il momento di restituire agli altri». Aspira a realizzare quello che lo scrittore André Malraux aveva preconizzato mezzo secolo fa: «La grande sfida del nostro tempo consiste nel mettere a disposizione del pubblico le opere d’arte finora in possesso di pochi privilegiati».
I quadri chiusi nei caveau delle banche sono per la prima volta offerti al godimento di tutti, in un museo permanente. «L’amore per l’arte, per la bellezza, me l’ha trasmesso mia madre», ricorda Emanuele. «Da bambino, a Palermo, passavamo la domenica a cercare i capolavori nei musei, a vedere le meraviglie del liberty, ad ascoltare i concerti. Invidiavo i compagni di scuola che giocavano a pallone. Oggi sono grato a mia madre, che mi ha salvato la vita. Perché nell’arte ho trovato la via di fuga da un’esistenza fatta esclusivamente di numeri e finanza. Quando negli anni Sessanta sono arrivato a Roma, e poi a Milano, ho cominciato a condurre una doppia vita: di giorno la finanza, di notte gli artisti. A Milano sono diventato amico di Enrico Baj, Emilio Tadini, Ugo Nespolo, Roberto Crippa. A Roma, di Franco Angeli, Renato Mambor, Tano Festa, Mario Schifano». Oggi, nella Pinacoteca di Palazzo Sciarra, ci sono anche le loro opere.
Il percorso, che procede in ordine cronologico, comincia dal secondo piano, dove sono collocati i dipinti dal Quattrocento al Settecento. Si prosegue al piano terra con gli artisti che vanno dall’Ottocento a oggi. I quadri sono collocati sotto gli antichi soffitti lignei o decorati con affreschi, tra porte dorate rococò, specchi, lampadari di Murano.
In una sala, i resti della collezione di marmi antichi della famiglia Colonna di Sciarra: due splendide colonne di età romana in lumachella rosea, marmo rarissimo proveniente dalla Tunisia. In un’altra, il fregio con 24 ritratti sei-settecenteschi di personaggi appartenenti ai vari rami della famiglia. In un’altra ancora una grande bacheca multimediale con più di quattrocento medaglie antiche, scelte da una collezione che ne conta 2.650. Si incontrano Jacopo Bassano e Pietro da Cortona, Giovan Battista Gaulli detto il Baciccio e Francesco De’ Rossi detto il Salviati, Felice Casorati e Carlo Levi, Mitoraj e Kokocinski. Tra i paesaggi più suggestivi, quello rappresentato nel Convito in riva al lago di Giovanni Andrea Donducci, detto il Mastelletta, che attinge al manierismo emiliano cinquecentesco per raccontare un banchetto di dame e cavalieri in un misterioso giardino in riva al lago. O quelli dipinti dal fiammingo Jan Frans Bloemen, detto l’Orizzonte, con panorami di fantasia arricchiti da rovine romane.
E poi due luminose vedute di Giovanni Paolo Panini. La prima raffigura piazza San Pietro, con la basilica che splende sullo sfondo e in primo piano l’ombra di quella che nel Settecento era ancora la Spina di Borgo. La seconda rappresenta il Quirinale, in una giornata di sole e con la piazza gremita di carrozze. Di Tommaso Dovini, detto il Caravaggino, sono presenti due grandi corami, i rivestimenti in cuoio delle stanze di rappresentanza, dipinti a olio con soggetti storici e mitologici. Di Pompeo Batoni, un ritratto della principessa Giacinta Orsini Boncompagni Ludovisi. Notevole il grande olio di Thomas Jones Barker, inglese arrivato a Roma sulle tracce del Grand Tour, che ritrasse la partenza della corsa dei cavalli barberi a piazza del Popolo, così come la descrisse Goethe: «L’ansia di incominciare la corsa li rende indomabili, mentre la presenza di tanta gente li fa ombrosi». I cavalli scossi, senza fantino, volavano ogni anno a Carnevale lungo il Corso tra due ali di folla.
Nel dipinto di Parker assiste alla manifestazione anche il principe di Galles, figlio della regina Vittoria e futuro Edoardo VII, che visitò Roma nel marzo del 1859. Ci sono le paludi pontine, ritratte a fine Ottocento da Onorato Carlandi e, in una sala adiacente a quelle della Pinacoteca, si legge un curioso documento sulla campagna intorno a Roma, intitolato Giustificazioni dello spurgo dei grilli 1729-1777. Il volume contiene «resoconti, bilanci, elenchi dei tassati e note spese riguardanti l’opera di estirpazione delle locuste presenti nell’agro romano, finanziata dal Sacro Monte di Pietà».
Si tratta di uno dei numerosi libri mastri della contabilità del Monte a partire dal 1500, che contengono una fetta di storia della città. Erano conservati nell’archivio della banca, poi suddivisi tra vari istituti in tutta Italia. Emanuele ha voluto riunirli: i più interessanti sono in mostra, gli altri li conserva in un caveau climatizzato nei sotterranei di Palazzo Sciarra, a disposizione degli studiosi. Nei sotterranei ha creato anche uno spettacolo emozionante, riportando alla luce due imponenti arcate dell’antico acquedotto della Vergine, fatto costruire da Agrippa, genero di Augusto. Spera di ottenere entro settembre i permessi dalla soprintendenza capitolina per aggiungerle al viaggio nella pinacoteca.