Il Sole 24 Ore, 9 luglio 2015
Ieri tra Wall Street, Wsj e United Airlines abbiamo avuto un assaggio di quello che potrebbe capitare a tutti noi e alle nostre economie industrializzate, dipendenti e ostaggio allo stesso tempo di sistemi informatici di cui conosciamo fin troppo bene la vulnerabilità. Il problema reale è che potenze straniere si sono attrezzate per poter colpire il tallone d’Achille delle nostre economie, la struttura informatica, un vero e proprio sistema nervoso che tiene insieme il mondo globale
Solo un “crash” di sistemi informatici? Possibile, le autorità ci rassicurano: i 4.000 voli a terra della United Airlines, le contrattazioni bloccate a Wall Street, il sito del Wall Street Journal oscurato, non dipendono da un attacco simultaneo di hackers ieri mattina, ma da semplici conseguenze del caso. Sarà, ma c’è poco da stare allegri lo stesso, perché ieri abbiamo avuto un assaggio di quello che potrebbe capitare a tutti noi e alle nostre economie industrializzate, dipendenti e ostaggio allo stesso tempo di sistemi informatici di cui conosciamo fin troppo bene la vulnerabilità.
La verità è che già ieri per alcune ora in America c’è stato un piccolo contagio da panico: passeggeri disperati per la cancellazione simultanea di voli, aeroporti nel caos, investitori che non potevano dare seguito alle loro operazioni, gli editori del Wall Street Journal che per un momento hanno temuto l’infiltrazione di notizie false nel loro sito. E allora chiediamoci, cosa sarebbe successo se ci fosse stato davvero un attacco congiunto di hackers di potenze straniere a tutte le linee aeree, alle centrali elettriche, ai mercati in generale, alle ferrovie: una catastrofe possibile. Possibile perché sappiamo che potenze straniere si sono attrezzate per poter colpire il tallone d’Achille delle nostre economie, la struttura informatica, un vero e proprio sistema nervoso che tiene insieme il mondo globale. Sa alla Corea del Nord è riuscito il colpo di mettere in ginocchio la Sony corporation per vendicarsi di un film che ironizzava sul leader supremo Kim Jong un, immaginiamo cosa possono fare gli altri. Solo per citare gli esempi più recenti, sappiamo che la Cina è dietro a un attacco che ha colpito a metà giugno l’ufficio del personale che controlla le informazioni di tutte le agenzie federali americane con l’eccezione della Cia, due attacchi separati con un furto per 18 milioni di dati.
L’8 di giungo scorso altro imbarazzo non da poco per il Pentagono: il sito internet dell’esercito americano (www.army.mil) è stato attaccato da un gruppo di hacker ed è rimasto bloccato per alcune ore. La rivendicazione? È del Syrian Electronic Army, un gruppo di pirati informatici vicini al regime del presidente siriano Bashar al Assad. A febbraio abbiamo assistito alla “rapina informatica” di banche americane e straniere per mano di hacker russi. Costoro, dal 2013 in avanti, hanno sistematicamente messo a segno 37 colpi contro banche americane e 178 contro banche russe, con un bottino che supera il miliardo di dollari. Poco prima era toccato all’ISIS anzi al CyberCaliphate che si è sostituito all’account di twitter del comando militare USA in Medio Oriente (Centcom) pubblicando documenti riservati con nomi e indirizzi di importanti personaggi delle forze armate: «L’Isis è già qui, siamo nei vostri pc, in ogni base militare», si legge nei messaggi pirati che appaiono sul profilo Twitter del Centcom.