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 2015  luglio 09 Giovedì calendario

Blackout a Wall Street e per gli aerei della United. Paralizzati per oltre tre ore i sistemi di trading al Nyse, oscurato anche il Wall Street Journal. Sistemi informatici in panne per un baco. Si era diffuso il panico negli Stati Uniti per un possibile attacco hacker, ma la Casa Bianca ha assicurato: «Solo un guasto tecnico». I consiglieri per la sicurezza nello Studio Ovale da Obama

La giornata dei sospetti comincia alle otto di mattina in tutti gli aeroporti americani.
La rete informatica della United Airlines è in panne. I computer non riescono a connettersi: i velivoli della compagnia non possono decollare. Circa 800 voli in ritardo, 60 cancellati, secondo i dati diffusi dalla stessa società: grande disagio negli scali del Paese, da Chicago, a San Francisco e New York. E primi dubbi inquietanti: che cosa è successo davvero?
Alle 10.30 i tecnici risolvono il problema e gradualmente si riaccendono i motori dei jet. Ma alle 11.32 si blocca lo Stock Exchange di New York, la Borsa più importante del mondo. In un primo tempo si pensa a una sospensione delle contrattazioni, una misura di cautela per arginare il ribasso innescato dalle turbolenze finanziarie cinesi.
Pochi minuti e arriva il chiarimento ufficiale: c’è «un guasto» nei server. I funzionari di Wall Street chiamano subito gli esperti dell’Fbi. Poco dopo i consiglieri per la sicurezza entrano nello Studio Ovale della Casa Bianca e avvisano il presidente Barack Obama. Nel frattempo anche il sito del Wall Street Journal interrompe il flusso di notizie. E sono tre.
E allora tutti si preoccupano di tranquillizzare: non è un attacco simultaneo di hacker. In rapida successione il messaggio parte, con note ufficiali, dalla sede della United Airlines a Chicago, dalla Borsa e dal quotidiano finanziario di New York.
Le autorità politiche si prendono ancora qualche attimo prima di confermare: «Le disfunzioni tecniche non sono da collegare a un cyber-attack». Lo dicono il segretario per la sicurezza Jeh Johnson e poi il portavoce della Casa Bianca, Josh Earnest.
Potrebbe finire qui, con la ripresa degli scambi azionari alle 15.10. Ma le notizie continuano ad alimentare illazioni e interrogativi allarmanti. Non c’entra Agatha Christie, anche se qualcuno, inevitabilmente, ne ha citato la massima più famosa, in uno dei tanti dibattiti televisivi: «Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi sono una prova».
La questione, invece, è che l’amministrazione di Washington è da mesi in allerta. Esiste una scia ormai lunga di precedenti che testimonia un cambio di strategia nel confronto-conflitto tra Stati Uniti ed altri Paesi.
Lo scorso Natale, l’Fbi aveva attribuito al governo della Corea del Nord l’intrusione nel sistema operativo della Sony, come ritorsione per la diffusione di The interview, film satirico sul leader Kim Jong-un.
Poi, il 7 aprile scorso, la Cnn rivelò che un gruppo di pirati informatici agli ordini della Russia, era riuscito a visionare i file riservati custoditi dal Dipartimento di Stato (il ministero degli Esteri) e dagli uffici della Casa Bianca.
In quella circostanza i consiglieri di Obama si affrettarono prima a smentire, poi a circoscrivere la portata dell’azione. Gli hacker hanno dimostrato di potere e volere colpire sia grandi aziende private, come appunto la Sony e, in passato lo stesso Wall Street Journal, sia strutture pubbliche. Il governo americano si sta attrezzando. Il bilancio federale della Difesa stanzia 600 miliardi di dollari. Per il 2016 l’amministrazione Obama ha previsto 41,2 miliardi di dollari per rinforzare la prevenzione delle attività terroristiche, compresa «la salvaguardia e la messa in sicurezza del cyberspazio».
Certo, per quello che si conosce fino a questo momento, i fatti di ieri sembrano discostarsi dalle esperienze del passato. Né la compagnia aerea, né la Borsa, né il sito del giornale hanno lamentato il furto di dati sensibili.
Nel caso saremmo, invece, di fronte a qualcosa che somiglia molto a un’inedita forma di sabotaggio, tanto spettacolare quanto efficace. Al momento, comunque, valgono le rassicurazioni ufficiali di Washington, anche se gli agenti federali continueranno a indagare sulla dinamica dei tre black-out.
In parallelo le aziende dovranno rivisitare le loro infrastrutture elettroniche. La United Airlines, in particolare, aveva sofferto un problema analogo a quello di ieri solo il 2 giugno scorso.