La Stampa, 8 luglio 2015
La maestra dei robot. Barbara Caputo, professoressa di Ingegneria informatica della Sapienza di Roma, insegnerà alle macchine intelligenti ad acquisire nuove nozioni in autonomia tramite l’esperienza e la trasmissione diretta di conoscenza da parte dell’essere umano. Così il robot potra entrare a casa, a scuola e perfino in ospedale dove «porterà via i vassoi del pranzo e della cena senza rischiare di buttare via occhiali, cellulari o mazzi di chiavi appoggiati sopra. Il robot saprà distinguere gli avanzi di cibo da oggetti estranei. Non solo. Tornerà dal paziente e chiederà: “Sono suoi questi occhiali?”»
Si dice sempre più spesso: il futuro è dei robot. Macchine intelligenti, capaci di dare una mano agli anziani, di assistere disabili e malati, di aiutare gli umani in tanti compiti diversi. A casa, in ospedale, a scuola. Una realtà che si avvicina, ma perché si concretizzi nel quotidiano è necessario fare un passo in più: permettere ai robot di acquisire nuove nozioni in autonomia, come fanno le persone in carne e ossa, senza dover sempre osservare e imitare qualcuno.
Capire come riuscirci è la sfida di Barbara Caputo, professoressa di Ingegneria informatica della Sapienza di Roma, con esperienze di lavoro in Germania, Usa, Svezia e Svizzera e alle spalle un lungo lavoro sull’apprendimento continuo nei robot. Il suo progetto – «RoboExNovo Robots learning about objects from externalized knowledge sources» – si è aggiudicato lo «starting grant» dello European Research Council, il fondo europeo per la ricerca: un milione e mezzo di euro in cinque anni. Allo studio, che si svolgerà al laboratorio «Alcor» del dipartimento di Ingegneria informatica automatica e gestionale della Sapienza, collaboreranno una decina di specialisti.
Professoressa, lei vuole superare le tecniche attuali utilizzate dai robot per imparare concetti nuovi: che cosa non funziona?
«Oggi l’apprendimento avviene in due modi. Il primo è l’esperienza: il robot si comporta come un bambino piccolo. Afferra ogni oggetto che gli capita e lo studia, lo esplora, può anche sbatterlo per terra, finché non capisce come si utilizza e qual è la funzione. Dal punto di vista commerciale, però, questo non funziona: nessuno sarebbe contento di acquistare un robot che può distruggere ogni nuovo oggetto che gli capita tra le mani».
E il secondo approccio? Anche quello ha dei limiti?
«Sì. Si tratta della trasmissione diretta di conoscenza da parte dell’essere umano. Può avvenire “inserendo” delle nozioni all’interno della macchina oppure c’è una persona che parla, spiega e mostra qualcosa e il robot ascolta, guarda e comprende. O, ancora, c’è qualcuno che, per esempio, prende un braccio del robot e lo solleva, finché il movimento non diventa autonomo. Ma questa è una soluzione parziale: il robot incontrerà prima o poi dei concetti mai sentiti prima o di cui non ha avuto esperienza, senza avere la possibilità di reagire all’imprevisto».
E allora come può riuscirci? Qual è l’alternativa?
«Acquisendo la capacità di imparare in modo continuativo, autonomo e astratto. Proprio come fanno gli esseri umani».
Per esempio leggendo un libro?
«Esatto. Ma il nostro progetto utilizzerà Internet come fonte d’informazione. D’altra parte, questo è un database privilegiato: il bacino di dati è più vasto, i contenuti sono aggiornati praticamente in tempo reale e ci sono moltissime immagini che facilitano la catalogazione di nuove nozioni».
Come si realizza l’obiettivo?
«Lavoreremo per elaborare una serie di algoritmi e anche una teoria che permetta alle macchine di fare tutto questo. Non abbiamo un modello di robot di riferimento. Il nostro sarà un software adattabile a diversi tipi di sistemi: dall’iCub, realizzato dall’Istituto italiano di tecnologia, a quelli messi a punto da aziende private. È uno studio altamente innovativo e avere cinque anni a disposizione ci permetterà di provare strade mai tentate prima, magari anche sbagliando, con la sicurezza che c’è il tempo di cambiare rotta».
Come sarà il suo robot ideale?
«Non penso che riusciremo a portare un robot in ogni casa entro la fine del progetto, ma spero che lo studio aiuti la loro diffusione in contesti più aperti, come in ospedale».
Che cosa farà in corsia?
«Per esempio, porterà via i vassoi del pranzo e della cena senza rischiare di buttare via occhiali, cellulari o mazzi di chiavi appoggiati sopra. Il robot saprà distinguere gli avanzi di cibo da oggetti estranei. Non solo. Tornerà dal paziente e chiederà: “Sono suoi questi occhiali?”».