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 2015  luglio 08 Mercoledì calendario

Mammut, il romanzo che Antonio Pennacchi ha scritto solo «pe’ tigna». La storia di Benassi, operaio guascone e ribaldo, ironico e scapestrato, che racconta l’amore, l’amicizia, la rabbia, gli è costata otto anni di fatica, nel frattempo faceva l’operaio e si laureava alla Sapienza. Ma solo dopo 55 rifiuti da 33 editori diversi la Donzelli decise di pubblicare il suo parto letterario. Pagandolo, «anche se non molto»

«E’ stato pe’ tigna», sostiene l’autore. E poi: «num me fa’ parlà in dialetto», protesta Antonio Pennacchi che porta in testa il solito berretto, questa volta di tela jeans, anche nello studio a due passi dalla centrale piazza della Repubblica di Latina. Eppure cosa meglio dell’intercalare pittoresco può esprimere la rabbia, la passione e la «tigna» a cui Pennacchi deve gli inizi della sua sfolgorante carriera di scrittore? 


«Na’ roccia»

«Ivana stava a girà la betoniera e io stavo a mette’ i blocchetti di tufo», ricorda il narratore sul terrazzino della sua fucina creativa dove fuma una sigaretta dietro l’altra. «Nell’estate del 1987 arriva il momento di passare la prima mano d’intonaco ai muri appena tirati su. La casa ce la siamo fatta da soli. Io ero na’ roccia, alto 1 e 87 e pesavo 87 chili». Ivana e Antonio finiscono la villetta nella campagna di Borgo Podgora e il romanziere in erba porta a termine anche un’altra avventura. Destinata a rivelarsi densa di futuro. Oggi sul tavolo di Pennacchi ci sono cataste di libri, da Lu Xun alle lettere di Claretta Petacci: lo scrittore ed ex operaio sta terminando la seconda parte di Canale Mussolini che uscirà in autunno e con cui prosegue la lunga cavalcata storica attraverso le paludi Pontine, fino al dopoguerra e agli anni della ricostruzione («”Canale” numero uno non era piaciuto ai fighetti der “Manifesto” perché ero troppo tenero con Mussolini. Questo secondo libro scontenterà i fasci»).

 

Il tarlo

Quando le viene in mente di scrivere il primo romanzo? «Ci pensavo da quando mia cugina, a sette anni, mi aveva insegnato a scrivere. La maestra aveva detto a mia madre che ero tonto. Mica vero. Io studiavo e leggevo L’isola misteriosa, Piccole donnePattini d’argentoCuore. E poi passai ad Addio alle armi, alla Storia della filosofia occidentale di Bertrand Russell, Zarathustra, La Notte del Parini,Le novelle della Pescara di D’Annunzio, che però non comprai, ma rubai alla libreria di via Emanuele Filiberto e ancora me ne pento. Dopo aver fatto le medie parlavo addirittura in latino: i preti di Zagarolo presso i quali ho frequentato per un anno il seminario, erano ammirati. In contemporanea sentivo come un obbligo, un giorno o l’altro, quello di dover raccontare la storia di mio padre e di mia madre, figli di coloni immigrati dal Veneto e dall’Umbria e genitori di sette ragazzi.

 

La fatica di scrivere

«Però scrivere è faticoso e rimandavo il momento in cui dovevo cominciare a bere l’amaro calice», osserva il narratore che a tutt’oggi ha pubblicato più di 15 libri, vinto il premio Strega e si è conquistato fama internazionale. Di mestieri ne ha fatti tanti, dal cameriere allo sguattero, dall’imbianchino al vulcanizzatore di gomme, e pure di lotte sindacali e politiche ne ha affrontate parecchie, dopo essere stato espulso dal Msi, dalla Cgil, dal Pci, essere passato attraverso il partito di estrema sinistra «Servire il popolo» di Aldo Brandirali, nel Psi e nella Uil. 
Le prime pagine? «Le butto giù quando nasce mio figlio. Poi lascio perdere e riprendo la sera del 3 novembre 1986 a 36 anni, cinque mesi dopo la scomparsa mio padre. “Devo diventare grande” mi sono detto. A casa, per circa un anno, tutte le notti dopo la mezzanotte ho scritto con la stilografica su quadernoni. A volte mi portavo il manoscritto alla Fulgorcavi e con i compagni discutevo il finale. Mi chiamavano Bestseller».

 

Il manoscritto sulla 127

Cosa pensava di fare per la pubblicazione? «Avevo in mente una strategia. Quanto misi la parola fine feci le fotocopie, confezionai tanti volumi con la colla e caricai i tomi nella Fiat 127 insieme a mia moglie e ai due bambini. Andavamo in giro a distribuire a mano il mio parto letterario alle sedi delle case editrici».

Il racconto inedito fece così il giro d’Italia da Milano a Palermo, dalla Mondadori e dalla Rizzoli alla Sellerio. E come andò a finire? «A ottobre cominciai a ricevere i primi rifiuti. “Non rientra nel nostro piano editoriale”, mi scrivevano. Altri proponevano di sforbiciare, limare. Io mi adeguo: modificare un testo allora era complicato, dovevo ribattere a macchina, ritagliare e appiccicare le striscioline corrette sulle pagine». Le è venuta la depressione? «Lo ripeto, chiamasi “tigna”. Mi consigliavano di scriverne un altro. Oppure un lettore della Rizzoli mi suggerì di asciugare 70 pagine. Intanto ero in cassa integrazione e avevo l’ansia di recuperare il tempo perduto. M’iscrivo all’università. Seguo tutte le lezioni del corso di laurea». 

Tutte? «27 insegnamenti: uno dei primi docenti che ascolto è il prof Alberto Asor Rosa, un compagno, mi dico, uno che scrive sull’Unità. Lui sale in cattedra, comincia a parlare e io esco sbattendo la porta: ma che stà a dì… L’incontro decisivo è con Mario Scotti, bravissimo, un crociano che nell’ambiente degli italianisti era considerato un sorpassato… mi raccomandava “lasci stare lo strutturalismo e le altre teorie della letteratura”. Arriva Cesare Segre, invitato da Asor Rosa, e quando espone le sue tristi idee… ma va a quel paese. Bellissimo invece il corso di etnologia su Claude Levi-Strauss. Il 27 aprile 1994 mi laureo alla Sapienza di Roma con Scotti su Benedetto Croce e ad applaudire c’è pure tutto il Consiglio di fabbrica della Fulgorcavi».

 

La telefonata

«E proprio negli stessi giorni – guarda caso – dopo tante attese, da Donzelli, a cui aveva passato l’inedito mia sorella Laura, arriva una telefonata: “Abbiamo deciso di pubblicare il suo libro”. E io: “Guardi che io non caccio una lira”. Altri editori mi avevano chiamato dicendomi “deve partecipare alle spese”. Ma stavolta è diverso: “Ma che scherza? Siamo noi che la paghiamo anche se non molto”». Eccolo dunque il Mammut l‘opera prima di Pennacchi che vede la luce dopo 8 anni di attesa, 55 rifiuti da 33 editori diversi - «ogni volta lo rimandavo cambiando nome»: è la storia di Benassi, operaio guascone e ribaldo, ironico e scapestrato, che racconta l’amore, l’amicizia, la rabbia. Un trionfo, il primo libro? «Macché, io speravo de facce un po’ di soldi, le critiche però erano buone. Poi sono usciti Palude, Una nuvola rossa, Il fasciocomunista. Vita scriteriata di Accio Benassi e Canale Mussolini, che mi ha dato un po’ de tranquillità e mi so’ potuto comprà questo studio». Insomma, un esordio determinato quello di Antoni-Accio Pennacchi.