La Stampa, 8 luglio 2015
Tra bond, prestiti e fondo salva-Stati il conto greco per l’Italia potrebbe salire di altri 30 miliardi. I soldi che lo stato italiano ha impegnato finora nel salvataggio di Atene sono circa il quattro per cento del nostro Pil, decimale più decimale meno. Che non è poca cosa
Sono 65,8 miliardi secondo Exane-Bnp Paribas. Per Unicredit sono 53 miliardi. Per gli economisti di Royal bank of Scotland sono 62 miliardi. Sono i soldi che lo stato italiano ha impegnato finora nel salvataggio della Grecia e, comunque la si guardi, sono circa il quattro per cento del nostro pil, decimale più decimale meno. Che non è poca cosa.
Le cifre ballano, e di molto, secondo le voci incluse o escluse nel conteggio. Il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ad esempio lo scorso 29 giugno, quando il referendum non c’era ancora stato, aveva detto che l’esposizione diretta dell’Italia verso la Grecia era «solo» di 35,9 miliardi. Si tratta però «solo» dei 10 miliardi del prestito bilaterale concesso nel 2011 nell’ambito del primo salvataggio e dei 25,9 miliardi concessi tramite il fondo salva-Stati Efsf. Secondo le banche d’affari, andrebbero incluse nel conto anche altre voci. Ad esempio il pro-quota dei bond greci detenuti presso la Bce nell’ambito del programma Smp. Che sono altri 3,5 miliardi di euro. E ancora i 20,4 miliardi di euro – sempre pro-quota – dell’esposizione netta della Banca di Grecia nei confronti del resto dell’Eurosistema, compreso il sistema Target2. Ancora, Exane-Bnp Paribas conteggia anche i prestiti fatti dalla Bce alle banche greche al di fuori del programma Ela (quello che sta fornendo euro e dunque ossigeno alle banche di Atene) e aggiunge al conto altri 6,8 miliardi. Mentre Rbs non calcola questa voce ma considera ancora pro-quota i prestiti concessi dal Fondo monetario.
Di questi, i 35,9 miliardi dei quali parla Padoan sono già considerati nel nostro debito pubblico e dunque di fatto non avrebbero impatti nei nostri conti neppure nello scenario peggiore, un fallimento «disordinato» della Grecia e la sua uscita dall’euro. Più difficile calcolare l’impatto dei restanti venti o trenta miliardi rimanenti. «È un calcolo che nessuno fa perché ci sono troppe variabili», spiega un economista di una banca d’affari. «Dipende dall’impatto del fallimento sui conti della Bce, se questa dovrà essere ricapitalizzata in caso di default o se le sue riserve basteranno ad assorbire lo shock».
Il problema non riguarda solo l’Italia. Prendendo solo i conti di Exane, la Germania è esposta per 98,1 miliardi, la Francia per 75,3 miliardi, la Spagna per 45,3 miliardi. Va detto però che nel 2010, al momento del primo salvataggio, la situazione era radicalmente diversa. Come molti analisti hanno già rilevato, le banche francesi avevano un’esposizione di 52 miliardi, quelle tedesche circa 35 miliardi e quelle italiane appena 4 miliardi. L’esposizione delle banche dopo il primo salvataggio si praticamente azzerata mentre quella degli stati è lievitata.
Ma la preoccupazione maggiore in queste ore e nei prossimi giorni al Tesoro è il livello dei rendimenti del nostro debito pubblico. Lo spread con i bund tedeschi è intorno ai 160 punti base, ma finora le difese dalle Bce hanno tenuto. Secondo Goldman Sachs potrebbe raggiungere i 200-250 punti base. E Standard and Poor’s stima 11 miliardi di maggiori costi per il nostro debito pubblico. Comunque sia, entreremo anche noi, come ha detto Mario Draghi, in «terra incognita».