Corriere della Sera, 8 luglio 2015
Tony Martin, l’equilibrista che al Tour fa il colpo della vita. L’impresa del tedesco che spunta sul rettilineo finale di Cambrai su una bici due misure più piccola della sua e conquista la maglia gialla. Ma Froome ride. Nibali inutilmente attivo
Chi è quel gigante con la bocca spalancata che spunta sul rettilineo finale su una bici due misure più piccola della sua? Chi è quel marcantonio che pesta sui pedali come un fabbro sull’incudine e fa appena in tempo ad alzare le braccia prima di stramazzare al suolo asfissiato? È Martin, il tedesco Tony Martin. Vince la Seraing-Cambrai, temutissima tappa del pavé, conquista la maglia gialla, realizza un capolavoro tattico assoluto. È scattato in faccia ai venti passisti più forti del mondo a tre chilometri dal traguardo, resistendo anche al ritorno dei velocisti. «Non credo di aver mai prodotto tanti watt, di aver mai fatto tanta fatica in vita mia» rantola all’arrivo nel suo inglese metallico, gli occhi bassi del gigante timido. È un colpo di quelli che riescono una volta nella vita e solo a un fuoriclasse del suo rango.
Il triciclo è appoggiato alle transenne. Porta sul telaio un numero (il 117) diverso dal suo, il 114. A 17 chilometri dall’arrivo, il gruppo lanciato all’impazzata, Martin fora. Tony, un marcantonio di un metro e 87 dai gamboni corti corti, strappa la bici dal gregario che gli sta a fianco, il fedelissimo Trentin, longilineo, un metro e 79. Come fa a pedalarci? Deve cambiarla appena arriva l’ammiraglia. Ma l’ammiraglia non si vede e anche se si vedesse, lui è troppo impegnato per potersi fermare. «Ha fatto un miracolo – ride Trentin – io per arrivare al traguardo con la sua bici mi sono spaccato il sedere. Abbiamo anche i freni in posizione invertita, se si confondeva faceva un salto mortale in avanti!».
Se l’adattabile Martin conquista tappa e maglia, il matematico Chris Froome la perde e si frega le mani. Il fragile, maldestro Froome che lo scorso anno tutti prendemmo in giro per i suoi precari equilibri sull’asfalto, è il grande vincitore. In sette tratti di ciottoli non si scolla mai dalla ruota di un Nibali assatanato (Contador e Quintana resistono ma boccheggiano), contrattacca addirittura nell’ultimo settore dando un’impressione di grandissima condizione di forma e, soprattutto, di sicurezza assoluta. Nel suo ciclismo, che è una funzione matematica a più variabili, il risultato è perfetto. E quando Martin scatta, Froome non ci pensa proprio a sguinzagliargli dietro un’ottima Sky. Si prendesse pure la maglia gialla, il tedesco, con i pesanti oneri, le fastidiose perdite di tempo che questa comporta. Senza maglia il filiforme anglo-keniano potrà, come ha fatto ieri, smaltire l’acido lattico sui rulli, ingurgitare il succo di barbabietola per annullare i radicali liberi e sbocconcellare la tortina di riso biologico e miele obbligatori prima di cena.
E Nibali, che tutti aspettavamo? Eccolo, con in mano il trofeo del più combattivo di giornata, che al Tour è un contentino per chi ci ha provato ma si è trovato in mano un pugno di mosche. Vincenzo ci ha provato, sei volte su sette. «Speravo sempre che qualcuno mi seguisse – racconta – che si formasse un gruppetto, che Alberto o Chris o Nairo restassero dietro. Ma non c’è stato nulla da fare: eravamo in tanti, troppi. Tutti guardinghi, tutti stressati. Senza pioggia e fango è stato facilissimo». Facilissimo? Ma se a un certo punto con Galoppin avete fatto a spallate e per poco non finivate in un fosso? «Ma no, erano cose di corsa. Lo scorso anno sì che era pericoloso. Oggi bastava tenere la fila, la bici andava da sola». Deluso? «No, realista. Il distacco è difficile da recuperare». Rassegnato? «Ci mancherebbe. Vado avanti giorno per giorno e qualcosa m’invento di sicuro. Il bello è che la squadra c’è e ha girato bene».
Nel borsino dei bookmakers si è rinforzato Froome, già favorito alla vigilia, guadagna terreno Quintana (che non ha perso terreno né a Huy, né sul pavè, come tutti ipotizzavano), resta stabile Contador, arretra Nibali, per via degli sciagurati 90 secondi buttati nel vento della Zelanda. Esce definitivamente (e poco decorosamente) di classifica il francese Thibaut Pinot. Ieri, quando era già staccato, gli si è bloccato il cambio elettrico (pare che non sia stato caricato… ) e lui, precisino, ha rifiutato la bici di un gregario giudicandola troppo bassa. In piena crisi isterica, ha perso la testa e quasi quattro minuti. Adieu, mon Tour.