Corriere della Sera, 8 luglio 2015
La voce più fresca e più sorprendente della campagna elettorale Usa è quella di Bernie Sanders, settantatreenne senatore del Vermont, socialista di ferro. Ora tallona nei sondaggi Hillary Clinton. Probabilmente l’outsider non riuscirà a scalzare la front runner, ma almeno ora c’è una gara vera, aperta, da seguire
La voce più fresca e più sorprendente della campagna elettorale americana è quella di Bernie Sanders, settantatreenne senatore del Vermont. Messi da parte i like dei blogger, ha indossato scarpe da tennis, pantaloni comodi, camicia con maniche arrotolate e un paio di penne nel taschino, cappellino color panna. Sceso in strada, semplicemente, si è candidato per la nomination democratica, sfidando la super favorita Hillary Clinton.
All’inizio lo staff dell’ex segretario di Stato lo ha seguito con un sorriso: dove crede di andare uno così? Poi sono cominciate ad arrivare le notizie. Bernie è stato applaudito da tremila persone in un comizio a Minneapolis; da 5.000 a Denver. Mercoledì scorso 10.000 a Madison, nel Wisconsin e venerdì da altre 2.500 a Council Bluffs, nello Iowa. Infine l’altro ieri, da circa 7.500 a Portland, nel Maine. Tanti giovani, una vasta rappresentanza della mezza età. Più bianchi che afroamericani e ispanici. Cittadini evidentemente rimasti fin qui senza rappresentanza. Molti di loro arrivano, carichi di livore, dalla terra di nessuno dell’antipolitica. Alcuni hanno condiviso o simpatizzato con i valori dei movimenti anti sistema, come «Occupy Wall Street» nel 2011. Altri ancora, forse i più numerosi, sono elettori democratici delusi, perplessi, ma non ancora rassegnati a votare Hillary.
La campagna di Bernie, fatta di polvere, ressa e sudate collettive, si cristallizza nella clamorosa scalata nei sondaggi. Alla fine di maggio, secondo la rilevazione condotta dall’Università di Quinnipiac, nel Connecticut, e citata ieri dal New York Times, Clinton dominava l’arena democratica con il 60% delle preferenze; Sanders era staccato con il 15%. La settimana scorsa, il segnale che qualcosa sta cambiando e in modo tumultuoso: Hillary al 52%; Bernie al 33%.
Probabilmente l’outsider non riuscirà a scalzare la front runner, ma almeno ora c’è una gara vera, aperta, da seguire. I giornali e i siti americani stanno moltiplicando gli sforzi per capire che razza di animale politico sia Sanders. C’è chi lo definisce un radicale, chi un socialista, chi il politico di sinistra più estremista che abbia mai militato nel partito democratico. Gli analisti conservatori setacciano la sua biografia politica, ricordando azioni e parole di Sanders quando era sindaco di Burlington, Vermont, negli anni Ottanta. Era solidale con i sandinisti del Nicaragua, si gemellava con il primo cittadino di Yaroslav dell’Unione sovietica e così via.
In realtà non c’è bisogno di affaticarsi, frugando negli archivi. La proposta di Sanders oggi è di una disarmante, drastica chiarezza. Promette di aumentare le imposte sull’1% degli americani più ricchi e usare le risorse per coprire nuove spese sociali. A cominciare dalla copertura sanitaria da estendere a tutti, spazzando via i distinguo legati al reddito e alle carte di credito dei pazienti. Vuole applicare una piccola tassa sui profitti di Wall Street e con il ricavato mettere le università pubblica nella condizione di non far pagare gli studenti. Sollecita la trasparenza dei contributi ai politici in lizza per la Casa Bianca. Infine si batte da quarant’anni per il matrimonio tra omosessuali, e su questo punto ha appena incassato la sentenza favorevole della Corte suprema.
Forse è un piano difficile da realizzare, date le condizioni del bilancio americano. Ma, sicuramente, risponde alle frustrazioni di ampi settori dell’elettorato.
Sta di fatto che dal quartier generale di Clinton sono spariti i sorrisetti. Già nei prossimi giorni Hillary potrebbe correggere qualcosa, magari accogliendo il suggerimento di misurarsi con i grandi raduni. Il «caucus», l’assemblea dell’Iowa, apertura ufficiale delle primarie, in calendario per il primo febbraio 2016, si annunciava già un passaggio delicato. Se Bernie continua così, può trasformarsi in un rischio tremendo per la leader fin qui senza avversari.