Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  luglio 08 Mercoledì calendario

Quel povero Djokovic che è riuscito a non perdere. A Wimbledon, contro Anderson, il numero 1 ha rischiato un break fatale. Gianni Clerici: «Ma l’anomalia di simile sorpresa sarebbe svanita con due improvvisi doppi errori di una battuta fin lì ingiocabile, che consentivano al serbo un mimo vittorioso, abitualmente insolito, a dimostrazione dell’angoscia alfine evitata. Sportivo come sempre, Nole avrebbe dichiarato che Anderson meritava di vincere. Sportivo, certo, chissà quanto sincero»

Dopo una notte di sogni interrotti, forse trapunta di incubi, Novak Djokovic è riuscito a non perdere il suo match contro il sudafricanone Kevin Anderson. Ho scritto “a non perdere”, invece che vincere, non del tutto a caso. Lunedì sera, dopo aver scritto il mio pezzetto quotidiano, mi stavo avviando a casa, quando, dal Campo Uno, ho sentito levarsi al cielo nuvole di applausi. Ho allora controllato il punteggio, e mi sono reso conto di una delle mie abituali distrazioni, dalle quali non guarirò mai. Il favorito di Wimbledon, il Numero Uno del mondo, aveva infatti perso i due primi tiebreak contro Anderson. Incredulo, mi sono allora affrettato in tribuna, ed ho visto sul viso di Nole un’insolita espressione, nella quale all’incredulità si associava la delusione, alla delusione l’irritazione, all’irritazione la palese intenzione di ribellarsi.Un bravo collega dell’Èquipe – sono solo in cinque – mi avrebbe riassunto quel che era sin lì avvenuto, con una pur imprecisa statistica: «Kevin ha fatto una ventina di ace, serve and volley, e tiene anche il palleggio di Nole, che commette troppi errori». Avrei ringraziato, preparato il mio taccuino, ma avrei, immediatamente, visto un’altra partita, diversa, se non proprio opposta, a quella che l’amico mi aveva raccontata. D’un tratto Nole pareva quello di sempre, il N.1 del mondo sconfitto nel suo sogno di Grande Slam soltanto da un Wawrinka in una giornata, che temo, non ritornerà più.Bloccando quasi serenamente le esplosive battute del sudafricano, Djoko avrebbe trovato maggiore regolarità e penetrazione nelle battute, avrebbe requisito un terzo set quasi facile, e si sarebbe ripetuto, con qualche difficoltà in più, mai con angoscia, nel quarto. Era allora giunta la notte. Una volta di più la sospensione mi aveva fatto dubitare se sia umano decidere un match di cinque set in un set solo. O forse meglio rigiocarlo, e i due protagonisti ripartire da un nuovo inizio.Oggi Djokovic e Anderson sono ritornati in campo per primi, sullo stesso Court Number One, all’inizio visitato dalla pioggia. Giusto come ieri, l’inizio del match ha sottolineato insolite difficotà di Nole, spesso incapace di opporsi alle violente e angolate battute di Anderson. L’evidente preoccupazione di Djoko ne trovava una simile sul viso arrossato di Becker, probabilmente impensierito per il suo stipendio. Anderson, mi informava il mio amico francese, pareva quello della recente finale al Queens, un vero tennista da erba, stirpe quasi estinta. I suoi accessi inanellavano a quelli di ieri, mentre Djoko – trovo addirittura scritto, il povero Djoko, sul taccuino – avrebbe rischiato un break, forse fatale, sin dal quarto gioco, fronteggiando due palle break. Ma l’anomalia di simile sorpresa – alla fine mancata – sarebbe svanita con due improvvisi doppi errori di una battuta fin lì ingiocabile, che consentivano al serbo un mimo vittorioso, abitualmente insolito, a dimostrazione dell’angoscia alfine evitata. Sportivo come sempre, Nole avrebbe dichiarato che Anderson meritava di vincere. Sportivo, certo, chissà quanto sincero.