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 2015  luglio 07 Martedì calendario

«L’euro non è un club à la carte. Ci sono norme e regole per assicurare la sua sopravvivenza». Anche i Piigs scelgono la linea dura con Atene: «L’Europa ha mostrato solidarietà alla Grecia, ma non ci può essere solidarietà senza responsabilità»

La semplificazione giornalistica ha fatto sì che in questi anni il dibattito nella zona euro sul futuro della valuta unica o della Grecia sia stato letto attraverso le lenti di un contrasto tra il Nord e il Sud dell’Europa. Finalmente, lo sconquasso greco ha smentito i luoghi comuni e le analisi elementari. Le divisioni tra i partner dell’unione monetaria sono molto più complesse. Hanno a che fare con interessi politici e tradizioni culturali, che peraltro spaccano gli stessi paesi.
Gli ultimi sei mesi hanno scombussolato le idées reçues. È possibile, a sorpresa, che la cancelliera Angela Merkel si riveli in fondo più accomodante, per esempio, del premier spagnolo Mariano Rajoy? Nei prossimi giorni, i Paesi della zona euro dovranno decidere prima di tutto se iniziare nuovi negoziati con la Grecia in vista di un terzo programma di aiuti; e in secondo luogo se concedere qualche forma di ristrutturazione e di alleggerimento del debito pubblico greco.
Sul primo tema, pochissimi Paesi, forse nessuno, si rifiuterà nel caso di aprire nuove trattative con Atene. Gli unici che potrebbero giungere a questo punto sono alcuni paesi dell’Est, come la Slovacchia o i Paesi baltici. Ciò detto, è vero che la tattica negoziale del governo Tsipras ha innervosito alcuni, ed esasperato altri, ma è anche vero che i governi hanno ben presente l’impatto negativo sui mercati finanziari e sulla scena geopolitica di una eventuale uscita della Grecia dalla zona euro.
«All’interno dell’Eurogruppo vi sono parecchi sostenitori della linea dura – spiegava ieri un diplomatico -. Sono pronti a negoziare un eventuale terzo pacchetto di aiuti alla Grecia, ma intendono imporre condizioni molto rigide». Tra questi vi è certamente la Slovacchia. Il ministro delle Finanze Peter Kazimir ha detto domenica notte: «La scelta della Grecia di respingere l’accordo e le riforme che prevedeva non significa che ora i greci riceveranno denaro più facilmente». Bratislava non è sola.
Le ultime settimane hanno dimostrato che alcuni governi oggetto di programma economico, come la Spagna o il Portogallo, non possono permettersi di concedere alla Grecia ciò che sono stati costretti a imporre ai loro cittadini. Ancora domenica, il premier spagnolo ha spiegato: «L’Europa ha mostrato solidarietà alla Grecia, ma non ci può essere solidarietà senza responsabilità». E ha aggiunto: «L’euro non è un club à la carte. Ci sono norme e regole per assicurare la sua sopravvivenza».
L’altro tema su cui decidere è come gestire il debito pubblico greco. Il governo Tsipras chiede da tempo una ristrutturazione, in altre parole una riduzione del valore nominale del debito, che oggi ammonta al 180% del prodotto interno lordo. La stragrande maggioranza dei Paesi è contraria, nonostante sia la posizione del Fondo monetario internazionale. I creditori sono pronti invece a discutere di un alleggerimento del debito, attraverso un allungamento delle scadenze e un taglio dei tassi d’interesse.
C’è spazio per un accordo su questo fronte, ma sarà la tempistica il nodo del problema. Per ora, molti Paesi vogliono che del tema si parli una volta adottate le riforme economiche. La Grecia chiede invece che venga decisa contestualmente alla firma di un terzo programma di aiuti. La Francia farà da mediatore. Più di altri, Parigi teme una Grexit perché questa eventualità potrebbe rafforzare il Front National o il Front de Gauche che coglierebbero l’occasione per denunciare la mancanza di solidarietà in Europa.
Sui due fronti, vale a dire se negoziare o meno un terzo programma di aiuti e se trattare o meno sul futuro del debito pubblico, la Germania merita un capitolo a parte. La Repubblica Federale si è dimostrata assai meno egoista di quanto molti non abbiano voluto credere. Nei fatti, la signora Merkel dovrà decidere se salvare la Grecia sarà più o meno penalizzante per il suo futuro e il futuro del suo governo di quanto non sarebbe la scelta di abbandonare il Paese al suo destino.
La cancelliera deve fare i conti con il risentimento anti-greco dei tedeschi, oltre che con le posizioni rigide del Bundestag. Al tempo stesso, la signora Merkel e la stessa opinione pubblica tedesca hanno coscienza dei rischi di un mancato salvataggio della Grecia. Non è un caso se questa settimana Der Spiegel ritragga in copertina una cancelliera seduta tra le rovine dell’Europa. In un Paese consapevole della sua immagine internazionale, la scelta della rivista mostra che Berlino sa bene quale sia la posta in gioco.