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 2015  luglio 07 Martedì calendario

Un tour estremo. A Huy si impone Rodriguez, Froome in maglia gialla ma un pauroso incidente fa cadere venti corridori e ne mette quattro fuori corsa. A terra il leader Cancellara

Si sapeva già prima, ma l’evidenza dei fatti vale più di molte parole. Ogni tappa del Tour lascia solchi, più che segni, e sono solchi profondi. C’è da scegliere tra la maglia gialla strappata di Cancellara che l’avrebbe persa comunque ma non l’ha potuta difendere, e quella immacolata di Froome, che sul micidiale muro finale ha staccato tutti ma non Rodriguez, che ha resistito al suo ritorno. Cancellara, come un’altra ventina di corridori, è caduto al km 105 su un tratto in leggera discesa, velocità sui 70 all’ora. Erano già cominciate le grandi manovre, era già scattata l’ora in cui tutti vogliono essere davanti e lo spazio per tutti non c’è. La caduta non avviene in coda al gruppo ma intorno alla 50esima posizione. Il primo a finire pesantemente a terra è il francese Bonnet. O si è arrotato con un altro ciclista oppure deve aver messo la ruota su un pezzo d’asfalto molle. Conseguenza: biciclette che volano, sterzate sull’erba a bordo strada, corridori che restano a terra, sirene. Cancellara si tiene una mano sulla zona lombare. Si era rotto due vertebre minori ad Harelbeke in primavera. Arriva a 12’ da Rodriguez, pedalando con fatica arrivano in condizioni peggiori anche altri caduti: Matthews (sospetta frattura costale) e Ten Dam (lussazione spalla destra). Le ambulanze si sono portate via Bonnet (trauma cranico e cervicale, arcata sopraccigliare aperta), Tom Dumoulin (lussazione della spalla sinistra), Gerrans (frattura del polso sinistro). Altra caduta due chilometri dopo, di proporzioni ridotte, altra ambulanza per Kozonchuk ( frattura della clavicola sinistra). Interrompo il bollettino medico, sorvolando su feriti meno gravi, per dire che qui ha fatto molto discutere la decisione degli organizzatori di neutralizzare per dieci chilometri la corsa. Non è la prima volta che al Tour una tappa viene neutralizzata. La prima fu nel ’60 quando il gruppo si fermò a Colombey- les-Deux-Eglises davanti alla casa del generale De Gaulle, che strinse la mano a Gastone Nencini in maglia gialla. Più in qua avvenne per scioperi dei corridori, o perché i corridori avevano deciso che quella tappa non si doveva correre (per esempio il giorno dopo la morte di Casartelli). Oppure, nel 2010, una tappa fu neutralizzata proprio su intervento di Cancellara, una delle voci del gruppo più ascoltate, perché sull’asfalto viscido erano caduti almeno sessanta corridori. Le cadute, sostengono molti, fanno parte della corsa, come le forature e i cani che attraversano la strada. Quindi, la corsa doveva andare avanti. Christian Prudhomme, direttore del Tour, ha giustificato il provvedimento (che condivido) con una situazione d’emergenza: bisognava decidere in pochi minuti se fermare la corsa o lasciarla continuare a un ritmo folle ma senza che fosse garantita la copertura medica in caso di altre cadute. Credo sia stata fatta una scelta saggia, anche se molti corridori sulle prime non l’hanno capita.Quanto a emozioni, questo Tour ne sta dando tante, anche troppe per qualcuno. Come Purito Rodriguez, che ha piazzato la zampata dopo un gran lavoro di Caruso. Qui aveva già vinto la Freccia Vallona. «Sono partito ai 400 metri perché non volevo restare chiuso. Sapete che sono innamorato delle classiche, ma penso che debba esistere una differenza tra le corse di un giorno e quelle di tre settimane. Non mi sta bene che si arriva sul muro di Huy, anche se ho vinto, non mi sta bene il pavé di domani. Non bastano la Freccia, la Parigi-Roubaix? Con tutte queste difficoltà si moltiplica l’attenzione e sale lo stress, come avessimo tutti la febbre». Un’immagine che racchiude stress e febbre, e ancora dolore e delusione, è quella di Tony Martin, il re delle crono che ha affrontato il muro di Huy come fosse un cavalcavia. Cercava quella maglia gialla persa sulla diga per colpa di Cavendish. Resta steso senza fiato, come spiaggiato, oltre il traguardo, poi fa una domanda con gli occhi: ce l’ho fatta? No, l’ha presa Froome per 1”.L’ha presa e dice: «Non me l’aspettavo, non era nei programmi. Puntavo a vincere la tappa, ma Purito è stato più bravo». Ogni giorno cambia la maglia gialla, ogni giorno cambiano le valutazioni. Nibali da bene a maluccio a benino. Froome da così così a bene a benissimo. Contador da benino a bene a maluccio. Quintana da benino a maluccio a benino. Pinot da bene a male a malissimo. Il muro di Huy, in tutto 1300 metri, ha una pendenza media del 9,6 per cento, massima del 19. Non è terreno per Nibali che, meglio protetto dalla squadra, ha perso 11”, come Quintana e Van Garderen, che mi sembra un credibile outsider. Più pesante il distacco di Contador (18”) con l’aggravante di aver fatto lavorare come muli Majka e Rogers. Rullano i tamburi e lui si stacca. Ma gli va riconosciuto il primo premio nella sintesi. Gli chiedono cosa si aspetti dalla tappa pavesata di pavé e lui risponde: «Sopravvivere». Dovrebbe essere la tappa di Nibali e non dovrebbe essere la tappa di Froome, che su Nibali ha già un 1’38” di vantaggio. Mica male, in tre giorni. Bene, sul traguardo, due francesi, Vuillermoz e Gallopin, tiene Barguil che punta alla maglia bianca dei giovani, ed è da sottolineare il 30esimo posto dell’eritreo Kudus, ventun anni. Infine, visti abbracciati Merckx e Hinault, dieci Tour in due, all’inaugurazione di una statua dedicata a Merckx a Meensel- Kiezegem, il paese dove è nato 70 anni fa. «Non mi sono opposto, ma i monumenti si fanno ai morti» ha detto un Eddy alquanto in carne. Froome, invece, già gli contano le ossa.