Libero, 7 luglio 2015
La crescita dell’economia mondiale fa affidamento su un solo motore, quello degli Stati Uniti d’America. Lo dice il rapporto Ocse che conferma l’impostazione positiva della ripresa a stelle e strisce: la finanza pubblica migliora, in linea con la ripresa del pil ma la percentuale di americani in età lavorativa che sono impiegati o stanno cercando un lavoro, è scesa al 62,6%, il dato minimo dall’ottobre del 1977
La Grecia congela la ripresa europea, non più dell’1,5%. La Cina, fabbrica del mondo, è ormai in frenata. La crescita dell’economia mondiale fa affidamento su un solo motore, quello degli Stati Uniti d’America. La conferma arriva dal rapporto Ocse che conferma l’impostazione positiva della ripresa a stelle e strisce: la finanza pubblica migliora, in linea con la ripresa del pil. Tutto bene, anche troppo, visto che l’accelerazione della locomotiva potrebbe spingere la Federal Reserve ad aumentare i tassi. L’Ocse, però, si spinge a sostenere che, al contrario, i tassi Usa resteranno vicini a zero «come minimo fino a settembre». Ma tra le righe si lasciano intendere che Janet Yallen potrebbe lasciare il costo del denaro invariato ancora per un po’. «La ripresa degli investimenti – si legge – è stata finora modesta, riflettendo la debolezza della domanda, il rallentamento del boom del mercato immobiliare e la frenata degli investimenti in arrivo dall’area pubblica». La nota più positiva è che «dato il livello basso del costo del denaro sia lo stato federale che i governi locali hanno tutto l’interesse ad accelerare la spesa per investimenti». L’incentivo a non ritoccare i tassi c’è. Ma sull’altro piatto della bilancia ci sono le stime sull’occupazione. I dati di giugno, all’apparenza, non lasciano spazi a dubbi di sorta: il tasso di disoccupazione, in particolare, è sceso al 5,3%, lo 0,2% in meno di maggio, toccando il dato più basso dal 2008. Un buon risultato senza però dimenticare il monito lanciato da Ben Bernanke al momento di lasciare il testimone della Fed alla sua vice: «il tasso di disoccupazione non è più in parametro rappresentativo». In effetti, altri segnali sono meno convincenti. Non solo i dati di maggio ed aprile sono stati rivisti al ribasso di 60 mila unità, mentre l’ultimo dato (223 mila occupati in giù) è risultato inferiore alle attese. Ma quel che preoccupa di più la Yellen è un altro numero: il tasso di partecipazione alla forza lavoro, ovvero la percentuale di americani in età lavorativa che sono impiegati o stanno cercando un lavoro, è scesa al 62,6%, il dato minimo dall’ottobre del 1977. Insomma c’è qualcosa che non quadra. Come è possibile che cali la disoccupazione ma che i posti di lavoro crescano meno del previsto? E quanto pesa l’esercito di chi non è impiegato né sta cercando un posto? Secondo la definizione ufficiale, il tasso di disoccupazione è calcolato sulla base delle persone che non hanno un lavoro ma lo stanno attivamente cercando da almeno quattro settimane. Tutti gli altri, a partire dagli “scoraggiati” non rientrano nelle statistiche anche se Janet Yellen, grazie anche all’attività della Fed di San Francisco da cui proviene, ha dedicato molte attenzioni al tema dei disoccupati di lungo corso. Il risultato? Le indagini a campione condotte attraverso il metodo Cps (Current Population Surbey) possono condurre a più risultati. In particolare, se si tiene conto degli scoraggiati e dei sottoccupati il dato dei cittadini Usa “not in labour force” ammonta a 93 milioni di persone. Un risultato che, probabilmente, consiglierà la Federal Reserve ad aspettare un raggio di sole prima di frenare la marcia dell’economia.