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 2015  luglio 07 Martedì calendario

Ben-Hur 2.0. Effetti visivi e digitali, computer e nuove tecnologie: così oggi si girano i kolossal e gli italiani lo sanno fare bene tanto che il remake del film diretto da William Wyler con Charlton Heston nel 1959 è stato affidato ai designer di Garrone. Sono le braccia del cinema, artigiani che lavorano dietro le loro ampolle, il resine e le plastiline, alchimisti moderni. E dicono che a Cinecittà possono ottenere «risultati hollywoodiani con risparmi da 40-50 mila euro al giorno»

Nel remake di Ben-Hur, il film del 1959 diretto da William Wyler con Charlton Heston nel ruolo del protagonista, le cui riprese si sono appena concluse nel nuovo parco giochi di Cinecittà, le menti creative di Makinarium hanno costruito bighe aerodinamiche e bighe con figure mitologiche. È il clone 2.0 della scena clou della corsa feroce al circo Massimo.
Effetti visivi e digitali, computer e nuove tecnologie: così oggi si girano i kolossal al cinema. Gli effetti speciali non sono più territorio esclusivo degli anglosassoni: ci sono anche gli italiani. I «figli» di Carlo Rambaldi, l’inventore di E.T., sono tanti. Ma sono ancora misconosciuti al grande pubblico.
Le «braccia del cinema» lavorano in laboratori dai nomi che rimandano ad allusioni virtuali, Chromatika, Fantastudio, Magic Flash. E Visualogie, la società di Paola Trisoglio e Stefano Marinoni, che per Il ragazzo invisibile di Salvatores ha vinto il David 2015 per i migliori effetti digitali: «La cosa più difficile – spiega Stefano Marinoni – era proprio di creare l’invisibilità, il ragazzino aveva una tuta verde, il colore che il computer neutro riesce a identificare. E abbiamo dovuto sostituire tutto tridimensionalmente».
Sono giovani, sono architetti, informatici, hanno seguito corsi di design, hanno studiato «percezione visiva». Si chiamano Angelo Poggi, Leonardo Cruciano, Nicola Sganga, Bruno Albi Marini, che per la factory Makinarium hanno realizzato la pulce gigante e il drago marino di Il racconto dei racconti, il fim con cui Matteo Garrone ha esplorato una via artigianale, il fantasy «all’italiana», per illustrare i corpi che si trasformano nelle fiabe di Basile, allontanandosi il più possibile dal modello Harry Potter.
C’è Francesco Grisi, il pioniere della nuova frontiera degli effetti speciali, la sua Edi (Effetti digitali italiani) è stata la prima a sfidare le grandi produzioni americane, i Jurassic World di dinosauri realistici, Il Signore degli Anelli e i suoi fratelli iper-tecnologici. C’è Matteo Corbi che con sua moglie Francesca Pavoni ha creato Art3fatti assoldando un gruppo di freelance specializzati in «comunicazione visiva», e sono loro gli effetti speciali di Baarìa di Tornatore.
Questo processo ha portato già dagli anni 80 alla fine dell’epoca del kolossal. Ma la realtà virtuale, racconta Grisi, per gli italiani è stata una strada in salita. Lui ha cominciato nel 2001 la sua Odissea nello spazio digitale. «C’era molta diffidenza su noi italiani – racconta Grisi —, noi ci siamo salvati perché abbiamo fatto esperienza all’estero, in Francia e negli Stati Uniti». Ha finito Fathers and Daughters, il quarto film americano di Gabriele Muccino. Si apre con un incidente d’auto in cui muore la moglie di Russell Crowe, lui e sua figlia si salveranno e da lì nasce un sodalizio forte tra padre e figlia. «Gabriele – racconta Grisi – voleva dare enfasi alla scena, dietro l’incidente c’è la forza del sentimento, ma non c’erano mezzi per una collisione vera e propria e così abbiamo approntato una soluzione in cui si gira in parte in diretta e in parte al computer».
Dice che «lo stato d’animo» esaltato dalla tecnologia e contenuto nelle sceneggiature, è «la parte nobile del nostro lavoro». Che manderà in pensione, per i progetti che ricorrono ai campioni degli effetti speciali, scenografi e costumisti. Ma non si limitano a questo: «A volte dobbiamo ritoccare le rughe di attrici non più nel fiore degli anni».
Quelli di Makinarium (nata appena un anno fa), al Festival di Cannes hanno creato uno stand per mostrare i modellini in scala e le sculture della «pipistrella» e degli altri marchingegni del fantasy di Garrone, rivelando qualche segreto, per esempio il meccanismo con cui il drago muove la lingua. «E ci hanno invitati alcune multinazionali a Dubai e in India». Non dimenticando l’Italia, poiché traslocheranno a Cinecittà e fonderanno una scuola. Hanno appena lavorato sul set di Checco Zalone («c’erano interazioni con animali feroci»). «Sperimentiamo un nuova tecnologia unendo il mondo di effetti visivi agli effetti digitali, che spesso vengono visti come un tappabuchi, un correttore di immagini dopo il set; le due tecniche, insieme, danno personalità al prodotto». Garrone voleva una situazione di «verismo» e di grande realismo, mentre spesso gli attori si trovano a recitare «nel nulla, col green screen, il panno verde che scontorna bene dove puoi inserire un paesaggio digitale e crei una montagna, un lago, quello che vuoi».
Gli artigiani italiani, dietro le loro ampolle, il resine e le plastiline, sono alchimisti d’altri tempi. Dicono che possono ottenere «risultati hollywoodiani con risparmi da 40-50 mila euro al giorno»; affermano che davanti a un’esplosione realizzata al software in Iron Man o Spider-Man, «tanto di cappello, per carità», però, aggiungono, «sono praticamente identiche, non le distingui una dall’altra». Insomma Hollywood è in Italia e non lo sapevamo.