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 2015  luglio 07 Martedì calendario

Lo shopping cinese a Piazza Affari. Così la People’s Bank of China, ha superato il 2% dentro il capitale di Unicredit e del Monte dei Paschi. Una mossa la mossa che vale poco più di 800 milioni di euro ma dopo Eni, Enel, Terna, Saipem, Prysmian, Telecom Italia, Fca, Generali e Mediobanca, rappresenta un balzo di ben il 20% in un colpo solo del totale degli investimenti della Banca centrale di Pechino

I cinesi non si fermano nel loro shopping a Piazza Affari. È di ieri mattina l’annuncio che la Banca centrale di Pechino, la People’s Bank of China (Pboc), ha superato il 2% dentro il capitale di Unicredit e del Monte dei Paschi. Il superamento della soglia rilevante è avvenuto rispettivamente il 20 e 30 giugno, con il 2,005% nel colosso di piazza Aulenti e con il 2,010% nell’istituto senese reduce dall’aumento di capitale da 3 miliardi di euro servito per mettersi in linea con le prescrizioni della Bce sul patrimonio.
Ai prezzi di ieri – peraltro depressi dal crollo generale dei mercati per la crisi della Grecia con il Ftse Mib a -4% – la mossa di Pechino sui due titoli bancari vale poco più di 800 milioni di euro. Ma rappresenta un balzo di ben il 20% in un colpo solo del totale degli investimenti della Banca centrale a Piazza Affari. Attualmente il totale delle 12 partecipazioni sulla Borsa italiana è di circa 5 miliardi di euro, ed era di poco più di 4 appena due settimane fa quando la Pboc annunciò di avere superato la soglia rilevante in Intesa Sanpaolo.
Complessivamente l’istituto centrale cinese ha partecipazioni nelle principali società di Piazza Affari: l’elenco completo comprende anche Eni, Enel, Terna, Saipem, Prysmian, Telecom Italia, Fca, Generali e Mediobanca, tutte attorno al 2% (tranne Piazzetta Cuccia, in cui i cinesi si sono fermati all’1,98%). Non si tratta solo di una caccia al dividendo, che pure le partecipazioni garantiscono. In particolare per Mps l’appeal sembra essere più speculativo-strategico, visto che la banca senese non è previsto possa dare dividendi nell’immediato: ma la partecipazione al risiko bancario e la prospettiva di un’integrazione con un altro gruppo, magari straniero, possono essere di interesse per i cinesi. Non vanno dimenticate, infine, altre operazioni targate Cina, a cominciare dalla recente maxi-acquisizione da due miliardi di euro messa a segno da State grid corporation of China (Sgid), il colosso statale delle utility, del 35% di Cdp reti, a cui fanno capo proprio le due reti per la distribuzione di energia e gas, Terna e Snam, fino all’ingresso della Shangai Electric nel capitale di Ansaldo Energia col 35%. E sempre in Borsa – seppure destinato al suo possibile delisting – è l’investimento di ChemChina, che prenderà il controllo di Pirelli.
La strategia di puntare sui gioielli industriali e finanziari dell’Italia – forti di know how e di esperienze – da parte dei cinesi appare ormai consolidata da circa due anni, dopo la prima mossa in Eni nel 2011. In questo schema rientra anche lo sbarco a Milano, pochi giorni fa, della China Construction Bank: l’obiettivo dichiarato di Pechino è prendere parte alla ripresa che è in atto nel Paese.