6 luglio 2015
Ora che ha vinto il No che cosa succederà in Grecia? Le banche sono ancora chiuse, hanno quasi esaurito la liquidità e, senza un aiuto immediato della Bce, falliranno. Le ipotesi di un ritorno alla dracma o di una moneta parallela sono drammatiche. Tsipras torna al tavolo dei negoziati con nuove pretese, la Merkel preme per chiudere i rubinetti. Intanto si è dimesso il ministro delle Finanza Varoufakis
È stata la giornata del No per la Grecia. Un No che va al di là delle previsioni, supera le attese degli ultimi giorni. Con oltre il 60% dei voti, Atene ha respinto il memorandum d’intesa che i Paesi creditori avevano messo sul tavolo di Bruxelles dieci giorni fa. E poco cambia se quell’accordo nel frattempo era stato ritoccato, poi modificato, alle fine pure ritirato. L’affluenza è rimasta al di sotto delle attese, intorno al 65%, comunque ben oltre il quorum necessario per rendere valido il voto, fissato al 40%.
Vittorio Da Rold: «Il No è un trionfo per il premier Tsipras che si è battuto per ricevere un potere contrattuale più forte per trattare con i creditori che vogliono imporre condizioni dure a un Paese stremato, ma lascia aperta anche la possibilità che gli stessi creditori vadano avanti, permettendo che la Grecia faccia default e sia costretta a lasciare l’euro» [1].
Molto duro Federico Fubini: «Da stamattina il premier greco dovrà fare i conti con le sue promesse che, entro poche ore, rischiano di rivelarsi altrettante menzogne: aveva detto che l’accordo con il resto d’Europa ora sarebbe stato più facile, che la Grecia sarebbe rimasta nell’euro e le banche avrebbero riaperto domani. Non è certo che gli elettori manterranno l’ordine pubblico, quando scopriranno di avere a che fare con l’ennesimo demagogo» [2].
La prima urgenza oggi per la Grecia sono le banche. Rimaste chiuse per tutta la settimana, hanno razionato i prelievi al bancomat per le misure sul controllo dei capitali e potrebbero presto esaurire le scorte di liquidità. Non sono in grado di riaprire stamattina né lo saranno domani. A meno che la Banca centrale europea non metta a disposizione subito linee di credito di emergenza [3].
Il ministero degli Interni ha piazzato la polizia a guardia di 600 supermercati e 480 banche, nel timore che il rischio di Grexit inneschi un assalto ai bancomat e agli scaffali per paura che le scorte alimentari inizino a scarseggiare [2].
Per questo Tsipras, mentre i suoi sostenitori festeggiavano in migliaia in Piazza Syntagma, ieri sera ha riunito un consiglio dei ministri di emergenza per fare il punto sul sistema bancario e le drammatiche esigenze di liquidità. Poi c’è stato un incontro tra il ministro delle Finanze Yanis Varoufakis e i rappresentanti del sistema bancario greco [1].
Il risultato di ieri rafforza politicamente il governo di Syriza. Sia Tsipras che Varoufakis avevano detto che in caso di vittoria del Sì si sarebbero dimessi. Si indebolisce ancora di più, invece, il principale partito dell’opposizione, Nuova democrazia: nella notte sono arrivate le dimissioni del segretario ed ex premier Antonis Samaras [3].
Ma le dimissione che hanno fatto più rumore sono state quelle di Yanis Varoufakis. Lunedì mattina il ministro delle Finanze di Atene ha annunciato in un post sul suo blog che abbandona il suo posto nel governo di Alexis Tsipras. «Subito dopo il referendum sono stato reso consapevole di una certa preferenza di alcuni partecipanti dell’Eurogruppo per la mia… assenza da quegli incontri», un’idea giudicata dal primo ministro potenzialmente di aiuto per lui in vista del raggiungimento di un accordo. Tsipras dunque offre la testa di Varoufakis sul piatto ai governi creditori, come anticipato dal Corriere sul giornale di questa mattina. È un’uscita di scena polemica, che forse destabilizzerà il governo greco. Resta da capire se basterà al raggiungimento di un accordo in Europa [4].
Vittorio Da Rold: «Tsipras si libera dell’ingombrante economista “marxista”, usato dal premier come testa di ariete per rompere la spirale di piani di aiuti il cui unico scopo era aggravare la recessione in atto con nuove misure di austerità senza affrontare il tema del taglio del debito da 320 miliardi di euro pari al 180% del Pil. Varoufakis ha però esagerato in questa contrapposizione con la Troika al punto che al summit di Riga è stato definito “un perditempo, un giocatore d’azzardo, un dilettante ” dai suoi colleghi. Varoufakis ormai rischiava di essere una presenza ingombrante, soprattutto non ha mai amato il lavoro oscuro di “cacciavite” sui conti pubblici (parole di Romano Prodi) per frequentare le ribalte dei convegni internazionali dove era ricevuto come una star. Gli è stato fatale un servizio giornalistico francese che lo ritraeva con sua moglie dalla terrazza con vista sull’Acropoli, della sua casa ad Atene» [5].
Già in maggio Tsipras aveva in qualche modo ridimensionato il ruolo di Varoufakis, affiancandogli altri negoziatori come Yannis Dragasakis (più moderato) e Euklid Tsakalotos (più falco) nel tentativo di facilitare le trattative. Quel rimpasto però non è servito. I prossimi giorni diranno se l’uscita di scena totale di Varoufakis, per lo meno dal governo, avrà un effetto diverso. Dopo il No al referendum nulla è più scontato [4].
Angela Merkel ha già annunciato un incontro a due stasera con il presidente socialista francese Francois Hollande, a Parigi, per «una valutazione comune della situazione». Entrambi hanno chiesto e ottenuto per domani un Eurosummit dei 19 capi di Stato e di governo della zona euro, che sarà preceduto da un Eurogruppo dei ministri finanziari [6].
La Merkel, insieme al suo ministro delle Finanze Wolfgang Schaeuble, ha scelto la linea dura, che ha impedito l’accordo di compromesso con Atene e ha portato al referendum ellenico. Scrive Caizzi che «la Germania intenderebbe far uscire comunque la Grecia dalla zona euro: per usarlo come esempio della necessità di ridurre la sovranità nazionale dei Paesi con maxi-debito nelle politiche economiche e di bilancio» [6].
La Banca centrale greca ha fatto richiesta alla Bce di innalzare il tetto dell’Ela (Emergency liquidity assistance) sulla liquidità d’emergenza per gli istituti di credito ellenici, che al momento è congelato a 89 miliardi di euro e che di fatto è l’unica fonte di sostegno per Atene dopo che è scaduto il 30 giugno scorso il secondo piano di salvataggio [6].
In Grecia i prelievi dai bancomat procedono alla velocità di 300 milioni di euro al giorno, il collasso per gli istituti di credito è dietro l’angolo. In alcuni casi le banconote da venti euro sono terminate e i greci riescono a prelevare solo 50 euro alla volta invece dei 60 consentiti. In più il viceministro delle Finanze, Nadia Valavani, ha spiegato che i greci non potranno nemmeno ritirare i contanti lasciati nelle cassette di sicurezza delle banche fino a che resta in vigore la restrizione sul movimento dei capitali, che sta creando molti problemi anche alle imprese, ormai in ginocchio (le transazioni internazionali, necessarie ad esempio per rifornirsi di materie prime, sono limitate) [7].
Per ricevere la liquidità di emergenza della Bce le banche elleniche devono essere solvibili, questo è quanto prevede l’Ela. Venendo meno la «protezione» dell’accordo con i creditori internazionali legata alla liquidità messa a disposizione dal fondo salva-Stati e dal Fmi, qualora decidesse di mantenere l’Ela e di non chiedere la restituzione dei prestiti finora elargiti, la Bce si troverà costretta probabilmente ad aumentare lo «sconto» sul valore dei titoli greci portati in garanzia dalle banche, di fatto tagliando la liquidità d’emergenza. In questo modo la sopravvivenza delle banche greche sarebbe davvero questione di giorni [7].
Tanto più che il capitale degli istituti di credito ellenici è costituito quasi esclusivamente da crediti d’imposta verso lo Stato e da titoli di Stato greci. Quello stesso Stato che è considerato «in arretrato» dal Fmi dopo il mancato pagamento, il 30 giugno scorso, della rata da 1,55 miliardi e che ha altre scadenze nei prossimi giorni [7].
Intanto il calendario di luglio porterà giornate sempre più complicate, ricorda Luca Cifoni: «Il 10 luglio scadono titoli di Stato a breve per 2 miliardi di euro. In circostanze normali le stesse banche greche avrebbero dato una mano sostanziale per rinnovarli, ma al momento difficilmente avrebbero i mezzi per farlo. Il 13 luglio la Grecia dovrebbe restituire al Fmi un’altra rata da 450 milioni circa, che con tutta probabilità andrà ad aggiungersi agli 1,6 miliardi non onorati a fine giugno e dichiarati da Washington “arretrati”. Il 17 luglio c’è un altro miliardo di titoli di Stato da rinnovare. La scadenza del 20 luglio è più importante, perché le scelte della Bce appaiono obbligate, con margini di discrezionalità inesistenti o quasi. Ammontano a 3,5 miliardi i titoli di Stato greci detenuti da Francoforte: direttamente per circa il 60 per cento, attraverso le altre banche centrali per il restante 40. Risalgono al default del 2012: se Atene non sarà in grado di ripagarli, diventerà ufficialmente insolvente nei confronti dell’Eurotower. Così non ci sarebbero le condizioni giuridiche per una prosecuzione del programma di emergenza Ela, e i falchi del board non faranno a meno di rilevarlo» [8].
Cosa accade esattamente quando uno Stato va in default sui suoi titoli di debito detenuti dalla Bce non è noto, non esistono precedenti e l’Eurotower si è lasciata margini di discrezionalità. Correva voce ieri che vi possa essere un periodo di grazia di 30 giorni: una boccata d’ossigeno per comprare tempo e consentire alla politica di trovare una soluzione [9].
Senza ulteriori aiuti dalla Bce, ad Atene non resterebbe altro che ricapitalizzare le banche con rimedi estremi. Il governo greco ha smentito le indiscrezioni del Financial Times secondo cui sarebbe pronto a imporre perdite del 30% sui conti correnti sopra gli 8 mila euro. Viste le regole europee sulle garanzie per i depositi sopra i 100 mila euro, l’operazione potrebbe prendere la forma di una tassa patrimoniale sui conti [David Carretta, Il Messaggero]. Secondo Da Rold invece National Bank of Greece, Piraeus Bank, Alpha e Eurobank, le quattro maggiori aziende di credito elleniche, potrebbero essere nazionalizzate [1].
Ecco uno scenario possibile per Tsipras a questo punto. Tornando al tavolo delle trattative, il premier greco potrebbero appellarsi alle aperture fatte dall’Fmi che ha parlato di un piano da 60 miliardi di euro e di riduzione del debito del 30%. Cercherà di migliorare l’ultima offerta ma alla fine firmerà in ogni caso un compromesso per permettere alla Bce di riaprire i rubinetti e salvare le banche. Resta da vedere se troverà qualcuno seduto dall’altra parte della trattativa disposto a firmare ancora quel piano. Dopo il “sì” a quel punto Tsipras si ripresenterà in Parlamento in Grecia con un piano di misure di austerità ma l’ala di sinistra di Syriza ora dovrà votarlo visto l’esito del referendum [1].
Dopo questo passaggio il terzo piano di salvataggio dovrebbe passare anche al Bundestag e altri tre parlamenti europei. Se il parlamento tedesco non dovesse passare il piano, si aprirebbe uno scenario catastrofico perché la Grecia andrebbe fuori dall’euro sotto responsabilità tedesca, realizzando l’incubo, come dice l’ex ministro degli Esteri tedesco, Joschka Fischer, di una Germania che in un secolo distrugge tre volte il progetto europeo. C’è anche l’ipotesi in cui la Troika potrebbe decidere di considerare il No al referendum come la fine di ogni negoziato e di abbandonare la Grecia al suo destino. A quel punto la Bce dovrebbe congelare i finanziamenti [1].
Atene senza liquidità per riaprire le banche e pagare pensioni e stipendi pubblici sarebbe costretto a battere una moneta propria. Due le ipotesi più gettonate: valuta parallela (Iou, sorta di pagherò) che tenga in corso l’euro o la dracma, cioè l’addio definitivo alla moneta unica. L’euro non sarebbe più considerato una moneta irreversibile, ma un accordo di cambi fissi da cui si può uscire [1].
La nuova moneta parallela, per pagare pensioni e stipendi, inevitabilmente si svaluterebbe del 30-40 per cento, forse anche di più. Luca Cifoni: «Sarebbe l’inizio di un’altra storia: gli analisti sono piuttosto concordi nel prevedere per la Grecia una recessione ancora più severa di quella che ha caratterizzato gli ultimi anni di cura della troika. Per il governo greco si porrebbe anche il problema di trovare canali di finanziamento alternativi. Nelle settimane scorse ci sono stati contatti con la Russia, resta da vedere in che misura potrebbero eventualmente tradursi in prestiti effettivi» [10].
Il risvolto drammatico della paralisi è che mano a mano che i giorni passano il salvataggio della Grecia si fa più oneroso. Sarà costoso politicamente per Alexis Tsipras, costretto a chiedere sacrifici in tutte le evenienze, anche con l’uscita dall’euro. Si gonfia la somma degli aiuti europei che sarebbero necessari a mandare avanti la Grecia. Nel suo documento dell’altro giorno il Fondo monetario internazionale aveva calcolato il minimo indispensabile di aiuti in 30 miliardi di euro fino a settembre 2016, 52 arrivando fino al 2018; già a margine correggeva quest’ultima cifra in 60 o più. Ogni giorno che passa, rischiano di servirne altri ancora. E quel conto prendeva come base l’accordo che il referendum ha respinto [11].
Stefano Lepri: «Inevitabilmente nei Paesi euro più ostili alla Grecia il voto di ieri sarà interpretato come un “60 miliardi non ci bastano, datecene altri”. Pur se Francia e Italia si dicono disposte a riaprire subito il negoziato, due settimane possono passare in fretta; specie con un governo così incline ai passi falsi come quello di Atene» [11].
Sul fronte supermercati, finora, tutto è andato liscio. «Adesso però cambia tutto – confessa Victoria Diakopoulos, 64 anni, che ieri sera riempiva le borse della spesa di pasta e verdura in uno dei pochi chioschi aperti a Monastiraki - . «Cosa succede se le banche finiscono i soldi? E se non riaprono martedì?» si chiedeva domenica Victoria Diakopoulos, 64 anni, mentre riempiva le borse della spesa di pasta e verdura in uno dei pochi chioschi aperti a Monastiraki. Fubini: «La risposta la danno i manuali d’economia: o Atene riprende a battere la dracma o un’altra valuta parallela, oppure l’economia si avvita su se stessa, asfissiando in pochi giorni. Tradotto in soldoni, manca la liquidità per portare le derrate alimentari dai produttori ai consumatori o per comprarle dall’estero, rischiano la paralisi la distribuzione del carburante e le forniture di medicinali. Un mini-Armageddon cui nessuno vuole pensare. Ma che rischia di diventare una realtà tragica» [2].
Note (tutte dai giornali del 6/7): [1] Vittorio Da Rold, Il Sole 24 Ore; [2] Federico Fubini, Corriere della Sera; [3] Lorenzo Salvia, Corriere della Sera; [4] Federico Fubini, Corriere.it; [5] Vittorio Da Rold, ilsole24ore.com; [6] Ivo Caizzi, Corriere della Sera; [7] Francesco Basso, Corriere della Sera; [8] Luca Cifoni, Il Messaggero; [9] Isabella Bufacchi, Il Sole 24 Ore; [10] Luca Cifoni, Il Sole 24 Ore; [11] Stefano Lepri, La Stampa