la Repubblica, 6 luglio 2015
Da Vidal a Vargas, quanti italiani in questo Cile che ha conquistato la sua prima Copa America. Un anno dopo la traversa di Pinilla e altri rigori, fatali quelli, contro il Brasile, il Paese sottile può adagiarsi sulla cartina geografica del calcio che vince, e ora Vidal può dire «esto se lo merecía todo el pueblo chileno»
Lo stesso tiro, incrociato sulla destra del portiere, lo stesso fazzoletto del pianeta, la stessa paura. Vidal tira, la palla resta bassa, Romero ci arriva con le unghie, è gol. Higuain apre il piatto, il corpo indietro, la palla oltre l’Oceano. Dirà, Vidal: «Forse l’abbiamo vinta allora». Higuain non parlerà. Non parlò dopo aver spiazzato Marchetti e Napoli tutta, stesso rigore, stessa fine. La festa è del Cile, la prima in 99 anni di Copa America, non era scritto ma forse è bello che sia andata così. Un anno dopo la traversa di Pinilla e altri rigori, fatali quelli, contro il Brasile, il Paese sottile può adagiarsi sulla cartina geografica del calcio che vince, e ora Vidal può dire «esto se lo merecía todo el pueblo chileno».
È il miglior giocatore della finale, Bravo il miglior portiere del torneo, Edu Vargas il capocannoniere, Sanpaoli il miglior allenatore, la meritavano loro e l’ha meritata l’Estadio Nacional, furioso, splendente catino nel minuto prolungato fino al delirio dell’inno nazionale, cantato in tribuna dalla presidente Bachelet e dai Trentatré, i minatori di San José che nel 2010 vissero 67 giorni sottoterra, in attesa della salvezza e forse di un giorno così.
C’è molta Italia tra i sanpaolisti, sette uomini tra cui il Pitbull interista Gary Medel, l’uomo che ha indirizzato la notte di Santiago con un calcione a Messi in pieno stomaco: la merce al sole è questa, a quella longitudine feroce in cui tutto vale, anche la provocazione di Jara a Cavani, anche le follie notturne di Vidal, perdonate a furor di popolo. Anche le intuizioni lente del Mago Valdivia, fantasista velocemente dimenticato dall’Europa, e la velocità di Edu Vargas, che a Napoli e dovunque finora pochi hanno capito e molti rifiutato. C’è di che meravigliarsi, non fosse Sudamerica, non fosse il luogo della terra in cui il pallone è fuoco, espiritu, è l’intuizione pura di Alexis Sanchez all’ultimo rigore, morbido ghigno seguito da esultanza sfrenata, e il volto di Messi terreo, e poi la festa macchiata da tre morti, la Moneda invasa dal futbol e lo stadio risarcito delle tragedie di quarant’anni fa, quando Pinochet ne aveva fatto un campo di concentramento e di tortura.
Ora c’è il futuro dei numeri, dei contratti, l’incasso e forse è vero che Vidal ha un accordo col Real, come scrivono alcuni giornali cileni e che Benitez farebbe volentieri spendere 35 milioni a Perez per uno così. Sarebbe il ritorno di un cileno in blanco dai tempi di Zamorano, l’orologio indietro di quasi vent’anni, a quando il Cile fece paura anche all’Italia di Cesare Maldini. La Roja sorge per scomparire, probabilmente, assieme a Sanpaoli, el Genio fresco esecutore dei suoi connazionali che nella notte, tra spari e “campeones, campeones”, ha messo un sudario sul suo futuro, «non è la priorità, vedremo, è presto per parlarne». «Questa generazione doveva arrivare da qualche parte»: Vidal ha avuto ragione dovunque, soprattutto nel prendere la palla, metterla sul dischetto e tirare. Secco, sulla destra del portiere, dopo Messi e prima di Higuain.