Il Messaggero, 3 luglio 2015
Con il bail-in i salvataggi della banche saranno a carico di azionisti e creditori, non più dello Stato. Ecco perché la direttiva europea recepita ieri con il via libera definitivo alla Camera (con 270 sì, 113 no e 22 astenuti) non è un mostro mangia-risparmi
Altro che prelievo forzoso dai conti correnti in caso di default. La direttiva europea (2014/59/UE) recepita ieri con il via libera definitivo alla Camera (con 270 sì, 113 no e 22 astenuti) non è un mostro mangia-risparmi. Ma quel meccanismo complesso sui cui da anni si lavora a livello europeo per evitare che in futuro ci siano ancora in Europa salvataggi fai-da-te, con regole nazionali, e soprattutto con fondi pubblici. Insomma, la macchina dovrà funzionare allo stesso modo per tutte le banche Ue. E soprattutto, chiamerà in causa i privati, cioè azionisti e creditori. Si chiama bail-in, è il contrario del bail-out (il salvataggio dall’esterno tramite le casse pubbliche) e scenderà in campo da gennaio 2016. Ma è stato pensato come un ombrello per la stabilità del sistema finanziario europeo. Non come una terribile minaccia per i conti correnti, come descritto ieri dal blog di Grillo.
A mettere le cose in chiaro sul tema è sceso in campo anche il Tesoro. Tanto per puntualizzare ai più e rassicurare i risparmiatori, che l’approvazione della legge di delegazione europea che introduce il meccanismo di risoluzione delle crisi bancarie non fa scattare «nessun prelievo forzoso». Bensì, «più tutele di prima». Perché «nessun creditore può subire perdite maggiori di quelle che avrebbe sopportato in caso la banca fosse stata sottoposta a liquidazione coatta amministrativa secondo la normativa oggi in vigore». Ma in realtà basta entrare nei dettagli del nuovo meccanismo per capire che, di fatto, i depositi fino a 100 mila euro rimangono blindati esattamente com’è oggi grazie al Fondo di garanzia dei depositi.
LA PIRAMIDE DEI CONTRIBUTI
Ma vediamo quali sono i paletti fissati a partire dal 2016 e richiamati in più occasioni dal governatore Ignazio Visco. Il principio è semplice e lo ha spiegato lo stesso Visco in un’audizione parlamentare ad aprile. Si tratta di passare «da un mondo caratterizzato da un sostegno pubblico implicito a uno in cui sono in primo luogo gli azionisti e i creditori a sopportare le perdite». Limitando, quindi, «gli oneri a carico della collettività».
Dunque, subito dopo gli azionisti, potrà concorrere alle perdite dell’istituto chi ha investito in azioni, in obbligazioni (purché non garantite) o in prodotti finanziari. Soltanto in una terza fase possono essere chiamati in causa i correntisti. Ma solo quelli sopra la soglia dei 100 mila euro, sia chiaro. Dunque, le passività escluse sono essenzialmente i depositi protetti, le passività garantite da attivi emessi dalla stessa banca (come i covered bond) e i prestiti interbancari con scadenza originaria inferiore a sette giorni. Sono dunque escluse anche passività di brevissima durata o strettamente connesse al funzionamento di infrastrutture essenziali (ad esempio sistemi di pagamento e regolamento). Ma rimangono fuori, norme alla mano, anche le passività necessarie per garantire servizi essenziali, come crediti commerciali e dei dipendenti. Resta fermo, però, che in circostanze eccezionali le autorità possono escludere dal bail-in alcune attività se serve a salvaguardare la stabilità finanziaria.
Questo non significa, però, che la transizione non debba essere gestita con estrema cautela. La clientela «va resa pienamente consapevole», avverte da tempo la Banca d’Italia. Non solo. Visco potrà valutare regole specifiche per scoraggiare il collocamento degli strumenti più rischiosi presso i risparmiatori. Va detto, poi che nel passaggio al Senato con un emendamento del Pd, è stato aggiunto di «valutare l’opportunità di stabilire modalità di bail-in coerenti con la forma cooperativa».
Tutto questo per buttarsi alle spalle i fondi pubblici arrivati in abbondanza, tra il 2007 e il 2013, nelle banche europee: 688,2 miliardi alle banche dell’Unione, di cui 517,9 nei Paesi dell’area euro. Solo alla Germania sono andati quasi 250 miliardi. Mentre in Italia il Tesoro si è limitato a un prestito da circa 4 miliardi a Mps. Solo un prestito, pagato anche a caro prezzo: 1 miliardo tra interessi e commissioni.