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 2015  luglio 03 Venerdì calendario

Ma la decisione del Tribunale di Napoli sul caso De Luca è condivisibile o no? Il parere del noto esperto penalista Carlo Federico Grosso: «Le ragioni giuridiche posso essere condivise perché le questioni di legittimità costituzionale della legge Severino sono già state dichiarate fondate. Ciò che non può essere condiviso è, invece, il tenore di alcune asserzioni: la sospensione di De Luca disposta dal premier era legittima»

Come era prevedibile, dopo la decisione sul caso De Magistris il Tribunale Ordinario di Napoli ha accolto il ricorso di Vincenzo De Luca contro la sospensione dalla carica di Presidente della Regione: sospesa «l’efficacia del Decreto del Presidente del Consiglio con il quale è stata disposta la sospensione di De Luca dalla carica», il Presidente del Tribunale ha quindi «fissato per il 17 luglio 2015 l’udienza di comparizione delle parti dinanzi al Collegio per la conferma, la modifica o la revoca del presente decreto».
A questo punto De Luca potrà partecipare al primo Consiglio Regionale della Campania, nominare il Vicepresidente e la Giunta, esercitare a pieno titolo il suo mandato, quantomeno fino al 17 luglio 2015, e, in caso di (probabile) conferma da parte del collegio del provvedimento assunto ieri, fino al 20 ottobre, quando la Corte Costituzionale si esprimerà sulla legge Severino risolvendo, si spera, in maniera chiara e definitiva la questione.
Le ragioni giuridiche della decisione del Tribunale di Napoli possono anche essere condivise.
Nella sua motivazione il Tribunale rileva che le questioni di legittimità costituzionale della legge Severino sono state dichiarate non manifestamente infondate sia dal giudice amministrativo sia da quello ordinario, soggiunge che la mancata rimozione degli effetti del provvedimento impugnato rischia di cagionare al ricorrente (in caso d annullamento della legge) un pregiudizio irreparabile, precisa che il diritto politico di cui il ricorrente lamenta la lesione è funzionale al conseguimento di una finalità di rilevanza costituzionale che trascende gli interessi del singolo e che il decreto impugnato rischia di condurre a nuove elezioni con vanificazione dell’intero risultato elettorale e lesione anche delle posizioni soggettive dei rimanenti eletti.
Ciò che non può essere condiviso è, invece, il tenore di alcune asserzioni che si ritrovano nel ricorso: scritte dai difensori del ricorrente, ovviamente, ma nei confronti delle quali l’estensore del provvedimento giudiziario non ha sentito il bisogno di prendere, quantomeno, le distanze per evitare equivoci o fraintendimenti.
Nel ricorso, dopo avere enumerato le (asserite) ipotesi d’illegittimità costituzionale della legge Severino, si sostiene che la sospensione della carica di Presidente, disposta con immediatezza prima dell’insediamento del Consiglio e della formazione della Giunta, «si traduce in un impedimento permanente del funzionamento della Regione, con discredito di organi costituzionali e condizione di pericolo destabilizzante»; si soggiunge che il «disinvolto Decreto del Presidente del Consiglio non ha pertanto determinato una mera sospensione temporanea del Presidente della Giunta Regionale», ma ha innescato «una vera e propria paralisi istituzionale»; il pregiudizio, in altre parole, «è destabilizzante del circuito democratico costituzionale».
Parole pesantissime, ma, soprattutto, ingiustificate sul terreno del diritto attualmente in vigore. Che cos’altro poteva fare, infatti, il Presidente del Consiglio, di fronte ad una legge che in termini assolutamente trancianti, senza distinguere formalmente fra condanne precedenti o successive all’assunzione della carica, dispone che «sono sospesi di diritto dalla carica di Presidente della Giunta regionale coloro che hanno riportato una condanna non definitiva per uno dei delitti indicati nell’art. 7 comma 1, lettera a), b) e c) del d. lgs. n. 235/2012» (fra i quali compare il delitto di abuso di ufficio per cui De Luca è stato condannato in primo grado), che applicare la legge e disporre, come ha fatto, l’immediata sospensione del condannato dalla carica?
Da parte di Renzi, dunque, nel caso di specie non c’è stata nessuna «disinvolta» assunzione di un decreto presidenziale, nessuna «attività destabilizzante», nessun «attentato al circuito democratico costituzionale», bensì, semplicemente, l’applicazione puntuale di una legge dello Stato. Se non l’avesse fatto, si sarebbe anzi a sua volta esposto ai rischi di una denuncia penale per abuso di ufficio (semmai a Renzi, in termini strettamente politici, e nella diversa veste di segretario del Pd, potrebbe essere rimproverato di non avere a suo tempo bloccato una candidatura che avrebbe inevitabilmente suscitato difficoltà e polemiche a causa della condizione soggettiva di condannato in cui si trovava De Luca).
Che, poi, un Tribunale decreti la sospensione di un Decreto del Presidente del Consiglio per asserite ragioni di «cautela», o che la Corte Costituzionale ravvisi profili d’illegittimità della legge Severino, è tutt’altra questione: rilevare ragioni di cautela o valutare la norma come incostituzionale non rientra sicuramente nei poteri del Presidente del Consiglio.
Questo precisato, desta comunque stupore che il Giudice civile non abbia sentito la necessità di stigmatizzare la censura formulata nei sopramenzionati termini aggressivi e giuridicamente impropri; tanto più che, accogliendo nella sostanza pressoché integralmente le valutazioni di merito dei ricorrenti, ha alimentato il sospetto di un loro avallo quantomeno implicito. Ebbene, sul terreno di un corretto rapporto fra i poteri dello Stato, mai e poi mai un giudice potrebbe avallare, senza adeguate e gravi ragioni, l’accusa ad un Presidente del Consiglio di avere, nella sostanza, utilizzato i suoi poteri in spregio della correttezza istituzionale.
Superato bene o male l’impasse giuridico-politico suscitato dalla elezione di De Luca a Presidente della Campania, la parola passa, a questo punto, alla Corte Costituzionale, che il 20 ottobre emetterà la sua sentenza. Le ragioni di sospetta illegittimità sono in effetti numerose: dal vizio di eccesso di delega a quello d’ingiustificato trattamento di favore dei parlamentari rispetto ai consiglieri regionali, dalla violazione del principio di irretroattività a quello del principio di presunzione di innocenza. È comunque essenziale che la Corte, con una sentenza tranciante, faccia definitiva chiarezza sull’ambito di applicabilità della legge eliminando ogni ragione di ulteriore incertezza e discussione.